|
Un bel ritrovamento
a cura di M.D
Lo scorso 13 settembre lo storico Barbara Frale ha rinvenuto nei fondi dell'Archivio Segreto Vaticano un documento sul processo dei Templari che la comunità scientifica credeva perduto da secoli. Si tratta di un atto originale appartenente all'inchiesta condotta da Clemente V dell'estate 1308, l'unica inchiesta della Chiesa sull'ordine messo sotto processo da Filippo il Bello con l'aiuto dell'Inquisitore di Francia, e contiene l'unica confessione rilasciata dal Gran Maestro Jacques de Molay dinanzi all'autorità del papa. Creduto rubato insieme ad altri atti del processo quando Napoleone deportò a Parigi l'archivio dei papi, il documento restituisce l'assoluzione con formula piena impartita da Clemente V all'ultimo Gran Maestro e ai grandi dignitari del Tempio che avevano fatto ammenda per le loro mancanze e richiesto il perdono della Chiesa.
Nato in Terrasanta agli inizi del XII secolo per difendere Gerusalemme e i pellegrini al Santo Sepolcro dagli attacchi dei predoni islamici, l'ordine del Tempio era composto di monaci guerrieri e si era sviluppato grazie al favore dei sovrani europei e all'aiuto della Chiesa di Roma, nei confronti della quale i Templari osservavano un vincolo di fedeltà assoluta. Il 13 ottobre 1307 il re di Francia Filippo il Bello, con la complicità dell'Inquisitore francese, ordinò l'arresto improvviso di tutti i Templari del regno all'insaputa del papa e li fece sottoporre a torture indiscriminate per indurli a confessare le colpe delle quali li accusava: eresia, bestemmia, sodomia, idolatria. Lo strumento della diffamazione venne usato in maniera massiccia per gettare lo scandalo sull'ordine e per indurre il papa ad emettere contro di esso una sentenza di immediata condanna.
Clemente V, che possedeva un'eccellente preparazione giuridica ed era stato un bravo diplomatico per molti anni, comprese le intenzioni fraudolente dell'intera manovra: dopo aver intimato al re di rimettere i prigionieri alla custodia della Chiesa e non aver ottenuto alcun risultato, il pontefice sospese i poteri dell'Inquisizione perché aveva riscontrato gravi irregolarità ed abusi nella conduzione degli interrogatori. Clemente V proclamò che la Chiesa non avrebbe preso alcuna posizione sulla questione dei Templari finché il re non avesse consentito al papa di vedere personalmente i prigionieri. Questa determinazione indusse Filippo il Bello a consentire che una selezionata minoranza di frati fosse condotta in catene a Poitiers, presso la Curia, per essere interrogata; però il re volle impedire al papa di incontrare il Gran Maestro e i maggiori dignitari dell'ordine, che teneva separati dai confratelli e relegati nelle segrete del castello di Chinon: così avanzò il pretesto che non potevano viaggiare in quanto malati e non li lasciò partire. Clemente V aggirò l'ostacolo con una soluzione brillante: conferì una delega speciale ai suoi tre cardinali più fidati, fra i quali il proprio nipote Berengario Frédol che era un espertissimo canonista e aveva conosciuto di persona gli abusi dell'Inquisizione, e li inviò dai Templari a Chinon per interrogarli in sua vece.
Il documento ritrovato il 13 settembre restituisce proprio la testimonianza di quell'interrogatorio, un nodo cruciale nella strategia del papa per portare la Chiesa fuori dall'imbarazzo e dai problemi in cui la manovra regia, con la complicità dell'Inquisitore francese Guglielmo di Parigi, l'aveva gettata. Oltre ad essere inedito e ignoto fino ad oggi, esso permette di seguire passo dopo passo una mossa fondamentale nella strategia di Clemente V riguardo alla questione dei Templari: sebbene indignato perché essi avevano tollerato tradizioni da caserma volgari e a volte persino violente, il pontefice era convinto che non fossero affatto eretici. Non intendeva condannare un ordine che aveva servito la Chiesa secondo la propria finalità specifica e che, se opportunamente riformato e corretto nei suoi costumi, avrebbe potuto ancora essere molto utile agli obiettivi della politica cristiana in Oriente ed in Europa. Il rinnegamento e lo sputo sulla croce che Filippo il Bello aveva manipolato e fatto passare per una prova d'eresia, con l'aiuto dei suoi migliori avvocati quali Guglielmo di Nogaret, apparteneva ad un cerimoniale segreto d'ingresso effettivamente in uso presso l'ordine del Tempio: il postulante che chiedeva di entrare nell'ordine era messo a confronto con le violenze che i Saraceni compivano sui Templari catturati per costringerli a rinnegare Cristo e oltraggiare la croce.
Terrificante e imposto sotto minaccia di morte, il rito d'iniziazione era una messinscena che doveva spaventare il postulante per metterlo alla prova e consentiva ai suoi superiori di verificare immediatamente la tempra del futuro confratello, la capacità di autocontrollo e di subordinazione ai superiori, l'attitudine al comando. Il rituale era stato tollerato perché gli inquadratori vi ravvisavano un qualche valore formativo sulle reclute, ma durante il corso del Duecento la sua forma originaria si era degradata fino ad accogliere anche atti volgari, come ad esempio il bacio sul sedere, che avevano la finalità di umiliare il novellino dinanzi ai più anziani: lo stesso Jacques de Molay, già prima di diventare Gran Maestro, aveva messo in guardia la dirigenza dell'ordine contro queste tradizioni militari degradate che potevano arrecare seri danni all'ordine, ma la repressione non fu abbastanza efficace e proprio da quelle manifestazioni di goliardia deteriore partirono gli avvocati del re di Francia per costruire con grande maestria il teorema dell'eresia templare.
In sintesi, il documento ritrovato dimostra che nella sua inchiesta dell'estate 1308, l'unica vera inchiesta legittima sui Templari sino a quel momento, Clemente V aspetta di vedere se i dignitari del Tempio si piegheranno alla sua strategia difensiva e chiederanno il perdono della Chiesa, il solo modo per poterli assolvere dalla scomunica in cui erano incorsi ipso facto per aver rinnegato Cristo, anche se in forma puramente verbale; solo dopo averli assolti e ricongiunti alla Chiesa, riservando inoltre esclusivamente alla sua persona il giudizio sui massimi dignitari del Tempio, il papa ordina l'apertura delle inchieste in tutta la cristianità e restituisce i poteri all'Inquisizione. Il destino dei beni templari situati in territorio francese era già segnato da tempo, ma mettere al sicuro lo Stato maggiore del Tempio sottraendolo alla condanna significava per il papa la possibilità di riformare l'ordine, dopo aver proceduto alla revisione della regola e all'epurazione delle sue tradizioni degradate, e di ridargli una nuova funzione nell'ambito della Chiesa.
I nuovi dati storici emersi dal ritrovamento del 13 settembre impongono di ricalibrare notevolmente, per alcuni aspetti, il bilancio storiografico sul processo dei Templari e saranno discussi in saggio storico di prossima pubblicazione. Sebbene piuttosto controcorrente rispetto ad una parte della storiografia sul Tempio, la figura di Clemente V che emerge dalla recente scoperta trova importanti riscontri negli studi di autorevoli esperti della storia pontificia come Edith Pázstor e Agostino Paravicini Bagliani, i quali hanno dimostrato come la vecchia immagine di papa debole e succube del sovrano francese sia completamente da rigettare per lasciar posto a quella di un diplomatico e canonista molto esperto, che sa muoversi con grande prudenza e intelligenza in uno dei periodi storici più difficili per la Chiesa di Roma.
L'intera vicenda sarà riesaminata alla luce delle nuove informazioni.
|
|