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Tarante, tarantati, tarantismo
a cura di Alberto Rossignoli
Tarantismo: che cosa sarà mai?
Il fenomeno fu studiato, negli anni Cinquanta del Novecento, da Ernesto De Martino, il quale analizzò sistematicamente il tarantismo, cogliendone gli aspetti socio-religiosi e interpretandoli come la risultante di un disagio, di un’angoscia esistenziale.
Nella tradizione popolare del Salento, il fenomeno del tarantismo, nei suoi processi rituali, coreutica, simbolici, esorcistici, avrebbe origine nella puntura di un innocuo aracnide. La Lycosa tarentula e il Latrodectus tredecim guttatus sono due ragni (il secondo più velenoso del primo); sarebbero i responsabili del “male” che, come noto, determina effetti destinati alla ripetizione sistematica nel tempo. Va osservato che il morso del Latrodectus tredecim guttatus, pur non essendo mortale, provoca dolori diffusi, in particolare agli arti inferiori; il veleno, agendo sul sistema nervoso, causa agitazione e non di rado fenomeni allucinatori.
Secondo la (diffusa) tradizione, il “morso della tarantola” sarebbe all’origine di crisi psicofisiche – accomunabili per certi aspetti all’epilessia – destinate a ripetersi con precise scadenze, in relazione alle stagioni.
La sintomatologia si presenta comunque diversificata e le sue connotazioni non vanno solo considerate in relazione ad uno status fisiologico, ma anche, e soprattutto, ad aspetti di ordine culturale.
Interessante è osservare che, da quando si possiedono memorie documentate sul fenomeno, si hanno notizie di alcuni tarantolati che, durante le crisi, hanno avuto visioni mariane o di santi, cui si sommano visioni apocalittiche e situazioni riconducibili alla sfera onirica.
La taranta insinuava nelle vene un veleno la durata del quale era vincolata alla vita dell’insetto (si diceva che, fino a che la taranta viveva, o continuava la sua discendenza, il tarantolati non sarebbe guatino); era particolarmente pericolosa nella stagione calda. Ma il morso patito, ad esempio, in un’estate poteva determinare un nuovo morso nell’estate successiva. Questo nuovo morso era il segnale che la taranta non era morta, o che la sua funesta eredità era stata trasmessa a sorelle, figlie, nipoti. Il periodo tra la puntura della tarantola e le prime crisi era variabile: in genere si manifestano quasi subito vari dolori, seguiti da insonnia, depressione e tutta una sintomatologia riconducibile alla sfera neurologica.
La cura più efficace consisteva nel far morire la tarantola con l’ausilio di una simulazione coreutica della “danza” del ragno. Il ballo vero e proprio era effettuato col supporto di una base musicale, di simboli gestuali, con l’evocazione di alcuni elementi della religione e soprattutto con la partecipazione della collettività in cui il fenomeno si era manifestato.
Allorquando l’”avvelenamento” era ormai iniziato, si faceva danzare a forza il tarantolato, agitandogli davanti delle pezzuole di alcuni colori ben definiti, la vista dei quali gli è gradita, sino a farlo cadere in uno stato di estrema spossatezza e sonnolenza, risvegliatosi dal quale, poteva dirsi guarito.
Nel tarantismo, il simbolismo cromatico, come quello coreutica e musicale, assolveva la funzione di stimolare il deflusso emotivo creando delle precise corrispondenze sul piano simbolico.
Il fenomeno del tarantismo era a tal punto diffuso che i suonatori erano dei veri professionisti che operavano nelle varie province ove si verificavano casi di persone punte dalla taranta; nell’Ottocento, in Puglia, agivano ottimi musicisti girovaghi per tarantolati. A Taranto, nel XVII secolo, erano addirittura dipendenti comunali, segno della grande quantità di interventi richiesti.
Le fonti sul rapporto tra la taranta e la musica sono più antiche delle fonti sul tarantismo: ne abbiamo traccia nel Sertum papale de venenis attribuito a Guglielmo di Marra di Padova e probabilmente composto nel 1362.
In genere, il rito terapeutico della danza tendeva a placare per un certo tempo la sintomatologia, ma non ad eliminarla completamente poiché, come si è visto, essa riaffiorava stagionalmente.
La crisi era di fatto l’occasione per far defluire forme di avvelenamento simbolico (traumi, frustrazioni, conflitti individuali e via dicendo); inoltre, in determinate condizioni socio-economiche, la crisi individuale, riplasmata nel tarantismo, poteva essere controllata ritualmente in seno alla cultura del gruppo.
Anche il successivo morso è indicativo della necessità di disciplinare il rito, poiché se si fosse verificato in un qualsiasi momento dell’anno, avrebbe finito per assumere tutti i caratteri antisociali di una dannosa crisi del gruppo.
Nelle fonti del XVII secolo si ha già notizia della ripetizione del rito dei tarantati.
Importante, nel rituale, è il legame con San Paolo: negli Atti degli Apostoli (28, 3-6), il santo viene morso da una vipera, ma non subisce alcun effetto dannoso. Guarda caso, il territorio di Galatina sembrava essere immune al tarantismo, probabilmente perché consacrato a San Paolo.
Secondo gli psicoanalisti, non è casuale che le vittime della tarantola fossero prevalentemente donne giovani, spesso in fase puberale, povere e stagionalmente in crisi.
Alcuni studiosi sarebbero indotti a considerare il malessere e i conflitti generati dalla preclusione all’eros (evidentemente impedito, specie nelle donne) come una delle cause principali del tarantismo. Malesseri e conflitti che si incarnano nel simbolismo della tarantola. Del resto,l’erotismo è sovente associato alla trance e a fenomenologie di possessione, come rileva Lapassase.
Certamente il tarantismo può essere associato anche ad altre forme di malattia mentale, considerate spesso di origine magica, se non addirittura associate alla possessione demoniaca. Un esempio è il “ballo di San Vito”.
La Corea di Sydenhan è una complicanza della malattia reumatica e presenta una sintomatologia caratterizzata dalla presenza di movimenti involontari, accentati dall’emozionabilità del soggetto. È evidente come, in questa fenomenologia, la tradizione e la superstizione abbiano colto segni soprannaturali e preternaturali,richiedenti una opportuna azione esorcistici. Negli atteggiamenti popolari sono presenti chiari riferimenti comportamentali con quelli adottati nei confronti dell’epilessia, popolarmente nota come il “male di San Donato”.
Il tarantismo registrò un notevole incremento nel periodo che va dall’espansione islamica nel Mediterraneo e la controffensiva dell’Occidente all’epoca delle Crociate; un’epoca in cui l’antica Puglia venne sottoposta a dure esperienza sia individuali che collettive, e in cui si sparse la sinistra fama di reali casi di aracnidismo in cui incorsero gli eserciti cristiani accampati, cosa che agevolò il formarsi del simbolismo della taranta, come scrive il De Martino.
Il tarantismo, si ricorda, presenta connessioni con le pratiche bori nigeriane, con quelle zar etiopi e con varie forme di voudou.
Ad ogni modo, le vittime del tarantismo furono le persone più suggestionabili ed isteriche che, vivendo in una situazione dominata da privazioni e lutti, finirono per cedere sotto il peso delle frustrazioni indotte da carenze endemiche. Così, in esse trovarono un terreno particolarmente fertile atteggiamenti, istinti, ansie che non potevano trovare una soluzione sul piano della realtà.
Spiegazione senza dubbio non campata per aria… ma saprà esaurire il mistero che c’è dietro questa fenomenologia
Fonti:
Massimo Centini, Misteri d’Italia, Newton Compton Editori, Roma, settembre 2006
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