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Sesto Senso
a cura di Alberto Rossignoli
Molto se ne parla, molto si è scritto e dibattuto a proposito del cosiddetto "sesto senso" .
Ma cosa sarà mai?
Possiamo darne una definizione univoca e univocamente accettata?
Una cosa è certa: non è una forma di ragionamento, o quanto meno di pensiero, razionale, in quanto darebbe sfogo a potenzialità latenti della mente umana.
Secondo il dottor Gary Klein, psicologo cognitivista, in situazioni di emergenza, a detta, tra l'altro, di pompieri, elicotteristi, militari, medici di unità di terapia intensiva, non ci si affida al calcolo razionale e alla probabilistica: l'esperienza, piuttosto, giocherebbe un ruolo determinante nel determinare quella che si configura come una sorta di "intuizione" , la quale userebbe meccanismi cognitivi inconsci, come ad esempio facoltà di apprendimento, memorizzazione e percezione, rese operative dal cervello (o, meglio, non solo dal cervello, ma anche dalla mente, posto che, in contrasto con la visione neuroriduzionista, essa non sia collocata nel solo cervello e connesso apparato neurologico) a nostra insaputa.
Queste "conoscenze implicite" , come vengono denominate dagli studiosi, sono poste alla guida della decisione e dell'agire, seppur nell'inconsapevolezza del soggetto.
Come è possibile percepirle e al contempo non rendersene conto?
Neurobiologi come il dottor Roger Sperry e il dottor Michael Gazzaniga del Caltech hanno potuto dimostrarlo mediante diversi studi su pazienti epilettici ai quali avevano cagionato una disconnessione tra la parte sinistra del cervello (processi logico-analitici e linguaggio) e la parte destra (emozioni, intuito, creatività). Nella fattispecie hanno rilevato che, ponendo davanti all'occhio sinistro (connesso alla parte destra del cervello), per breve tempo, un certo vocabolo, l'informazione non può passare all'altra parte del cervello, essendo i collegamenti interrotti, e pertanto i soggetti non possono dire ciò che hanno visto e/o sentito. Tuttavia, se viene loro chiesto di prendere con la sinistra (collegata alla parte destra del cervello) l'oggetto di cui hanno letto il nome tra oggetti nascosti in un cassetto e a loro invisibili, trovano e afferrano il suddetto oggetto senza saper spiegare perché e come.
A quanto sembra, pertanto, il cervello sarebbe in grado di elaborare informazioni anche se e quando noi non ce ne accorgiamo.
L'equipe del dottor Stanislav Dehaene, di Orsay (Francia), ha dimostrato che, nel caso in cui si presenti come stimolo ad un soggetto sperimentale una parola per 43 centesimi di secondo, il cervello la identifica e la focalizza inconsciamente, benché il suddetto soggetto sperimentale riferisca di non aver visto nulla (il riferimento alla questione dei messaggi subliminali, che verrà presto approfondita, è d'obbligo). Dette informazioni non sono tuttavia disponibili per il processo cognitivo e di ragionamento in generale, ma sono elaborate in parallelo, come se alla mente (non solo il cervello) fosse dato di lavorare su due livelli, di cui uno è inconscio e automatico, mentre l'altro cosciente.
Ma c'è dell'altro.
La teoria dell'"intelligenza emotiva" asserirebbe che logica ed emozioni non possono essere dissociate. Che significa? Ad ogni concetto presente in memoria sono associate specifiche tracce emotive, tale per cui, ogni volta manipoliamo i contenuti mentali, ne consegue una manipolazione anche al contenuto emotivo, il quale entra in risonanza con analoghe emozioni associate ad ulteriori contenuti mnemonici.
Tutto ciò , a detta del dottor Todd Lubart dell'Universitè Paris 5, avrebbe una parte di un certo rilievo nell'associazione di concetti alla base del processo creativo.
Il professor Stuart Vyse, del Connecticut College, riconosce l'importanza delle intuizioni ma avverte che sovente sbagliano, invitando così alla prudenza e alla moderazione.
Molti premi Nobel hanno candidamente ammesso che molte loro intuizioni sono giunte inaspettate durante il sonno o soprappensiero, nel mentre si compiono in automatico azioni banali e ripetitive.
Nello specifico, il grande matematico francese Jules Henri Poincarè, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, riteneva vi fosse una fase di "incubazione" , nella quale il ricercatore pare scordare i dati del problema, mentre il suo cervello e la sua mente si mantengono attivi in vista del problem solving, continuando a istituire connessioni tra informazioni; quando meno la si aspetta, arriva la tanto attesa soluzione.
Ma come è possibile ottenere la cooperazione dell'inconscio?
Secondo il professor David Goleman, docente di psicologia ad Harvard, detto stadio di incubazione è passivo e avviene in uno stato di totale inconsapevolezza.
E, del resto, la saggezza popolare non dice di "dormirci sopra" , quando si devono risolvere dei problemi?
Sembrerebbe dunque che l'inconscio sia più capace, attivo e attrezzato della mente cosciente.
Perché?
Fondamentalmente proprio per la sua peculiarità di essere totalmente scevro da censure di qualsiasi tipo e pertanto le idee possono liberamente combinarsi tra loro, generando imprevedibili e insolite associazioni.
Come ha detto Thomas Edison, una ulteriore, ma forse più ardua, fase è quella in cui si deve dimostrare la fondatezza dell'intuizione…
Fonti:
Focus, n. 132, ottobre 2003; Il mistero del sesto senso, a cura di Amelia Beltramini
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