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Parmigianino: alchimista?
a cura di Alberto Rossignoli
Nel suo “Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani” (1550), Giorgio Vasari, attingendo dalle informazioni reperite presso il marito di una cugina del pittore, scrisse, a proposito del Parmigianino, che fu preso, in età matura, da un interesse a tal punto veemente (per esso abbandonò la pittura per esso) verso le pratiche alchemiche, da condurlo a malattia e, successivamente, a morte (per cause, peraltro, non del tutto chiarite).
Procediamo per gradi e introduciamo questo personaggio parlando brevemente della sua biografia.
Francesco Mazzola, in arte Parmigianino, nacque nel 1503 e crebbe a stretto contatto con l’arte:fu infatti allevato dai suoi zii, pittori di provincia ed entrò in contatto col Correggio; si distinse, in gioventù, per la sua precocità: nel 1523, a soli 20 anni di età, dipinse, nel castello di Fontanellato (di proprietà dei Gonzaga) il ciclo dedicato al mito di Atteone. L’anno successivo passò a Roma dove ebbe modo di conoscere l’opera di Michelangelo e di Raffaello e definì la sua personalità in ambito artistico.
Nel 1527 passò a Bologna e successivamente a Parma, ove fu incarcerato per debiti (pare quelli contratti a seguito della sua passione per l’alchimia); fuggì di prigione e si rifugiò a Casalmaggiore dove, in preda ad una profonda disperazione, morì nel 1540.
Oltre al ciclo dedicato al mito di Atteone, altre sue opere sono la “Madonna della rosa” , un “Autoritratto” , la “Schiava turca” , l’”Antea” e la misteriosa “Madonna dal collo lungo” : secondo gli studiosi di essoterismo, dette opere conterrebbero tracce del legame del pittore con l’alchimia.
Due parole su questa arte sono doverose.
Le sue origini si perdono nell’antichità più remota: tra i suoi fondatori vi sarebbero personaggi a metà tra storia e mito, ad esempio Ermete Trismegisto. Secondo alcune voci, l’alchimia sarebbe l’antenata diretta della moderna chimica, ma su questo non tutti sono d’accordo, in quanto l’alchimia (denominata “Scienza Sacra” )opererebbe su piano diversi e sarebbe una metafora della stessa vita umana.
Il nucleo essoterico di questa disciplina è dato dalla ricerca della Pietra Filosofale, in grado di trasformare il piombo (materia vile) in oro (materia nobile): questo andrebbe letto in chiave metaforica, a simboleggiare un percorso iniziatici mirante al perfezionamento interiore, attraverso la Conoscenza.
Gli alchimisti, anche per evitare sospetti e denunce, parlavano mediante simboli, costituendo in tal modo un linguaggio segreto, cifrato, accessibile a pochi e quasi mai tramandato in forma scritta: proprio i messaggi enigmatici e misteriosi lasciati dagli alchimisti sotto forma non soltanto di trattati e detti lapidari, ma anche di disegni simbolici, sono uno dei più complessi misteri dell’universo esoterico.
Molti sono convinti che, nelle opere del Parmigianino, sia possibile scorgere questi messaggi, questi misteriosi e celati segni di un sapere segreto e secretato ; tuttavia, se è vero che, per seguire l’alchimia, abbandonò la pittura, com’è possibile che abbia lasciato prima quei messaggi nelle sue opere? E poi, Parmigianino si avvicinò all’alchimia perché spinto da un autentico interesse per la Conoscenza oppure cercava solo il modo di ottenere dell’oro per saldare i suoi debiti?
Si sa per certo che, per seguire la Scienza Sacra, rinunciò al lavoro che gli era stato commissionato, ossia dipingere la cappella di Santa Maria della Steccata a Parma, successivamente affidato a Giulio Romano.
Come già accennato, Parmigianino realizzò un “Autoritratto” (1524, risalente ai tempi degli affreschi della cappella di Santa Maria della Steccata), conservato attualmente al Kunsthistorisches Museum di Vienna, in cui possiamo vedere come il pittore avesse un aspetto totalmente differente da come veniva riportato dal Vasari, secondo il quale, il Parmigianino sarebbe stato all’epoca assai trascurato, con capelli lunghi e incolti, come la sua barba; pare tuttavia che quel ritratto sia frutto di una mera idealizzazione, in cui appare come un nobile pensatore, dai lineamenti che, a detta di alcuni critici d’arte, ricorderebbero quelli di un volto di Cristo. Infatti, in un altro presunto autoritratto, il suo aspetto sarebbe totalmente diverso, apparendo come un uomo assai triste e invecchiato.
Da numerosi testi ermetici, si può constatare che la Scienza Sacra può essere un’Arte spirituale e, nondimeno, cristiana, alimentata dal desiderio di giungere alla Conoscenza, all’Illuminazione, attraverso un iter che incomincia dallo studio della materia empirica, meditando la quale si giunge alla consapevolezza dei limiti della natura umana, in un atto di lucida umiltà che avvicina alla dimensione dello Spirito.
Secondo il Parmigianino, detta materia era costituita dalla pittura.
A detta di numerosi ricercatori, negli affreschi del castello di Fontanellato si dovrebbero ricercare i primi segni degli interessi esoterici del pittore, nella scena, tratta dalle Metamorfosi ovidiane, rappresentante il mito di Atteone; raccontiamolo in breve: Atteone, nel corso di una battuta di caccia, scorge Diana intenta a bagnarsi ad una fonte e quest’ultima lancia dell’acqua verso il cacciatore, il quale si trova mutato in cervo e, successivamente, viene sbranato dai suoi cani.
Nell’interpretazione di Giordano Bruno, questa vicenda rappresenterebbe il destino dello studioso di alchimia, il quale, desideroso di conoscenze quasi divine, finisce per diventarne vittima…è forse quello che è accaduto al Parmigianino?
Consideriamo ora il “Ritratto del conte Gian Galeazzo San Vitale” in cui si vede il nobile nell’atto di reggere, nella mano destra, una moneta in cui compare il numero 72. Cosa può significare? Che sia un riferimento alla tradizione ermetica, attenta alle corrispondenze tra numeri e pianeti (il 2 corrisponderebbe a Giove, il 7 alla Luna)?
Il 2 sarebbe simbolo non soltanto di opposizione, conflitto, dialetticità ma rimanderebbe anche all’equilibrio, alla separazione, alla rigorosa separazione di principi diversi (Yin e Yang, secondo l’antica filosofia cinese) e segnalerebbe altresì la presenza di due diversi livelli che possono essere opposti come possono essere anche soltanto diversi tra loro, la cui dialetticità sarebbe comunque necessaria.
Rimanda altresì al concetto di ambiguità e sdoppiamento, in cui la visione di una certa realtà può apparire velata (come non ricordare il “velo di Maia” di Schopenhauer?).
Il 7, poi, è composto dall’unione di 4 e 3, binomio che, nella tradizione esoterica è di grande importanza: il 3 rappresenta la dimensione divina e il 4 rappresenta i quattro elementi, e dunque il mondo; l’unione di questi due principi nel numero 7 simboleggia l’unione della dimensione divina con quella umana.
Ricordiamo, nondimeno, che i peccati capitali sono sette, sette i sacramenti, sette i doni dello Spirito Santo, sette le virtù: secondo la tradizione esoterica egizia, il 7 rimandava alla vita eterna e, sempre nell’antichità, le cerimonie dedicate ad Apollo si celebravano il settimo giorno di ogni mese.
Parmigianino era effettivamente conscio dei simboli che veicolava nelle sue opere?
Altra enigmatica opera è la “Madonna dal collo lungo” , conservata agli Uffizi di Firenze; ora, nel Cantico dei Cantici (7,5) è scritto «il tuo collo è come una torre d’avorio» e verrebbe subito da pensare ad un possibile collegamento. Inoltre, non è chiaro quale legame con l’alchimia possa qui esserci, a meno che il pittore non considerasse detta raffigurazione come un “vaso filosofale” , nel quale avverrebbe la trasmutazione: un importante collegamento tra alchimia e Cristianesimo.
Per ora, non vi è risposta alla domanda riportata nel titolo di questo articolo, se effettivamente il Parmigianino fosse o meno un alchimista e se sia perito vittima, in qualche modo, di una smodata, insana e morbosa passione per la Scienza Sacra: la momentanea assenza di risposte, ad ogni modo, non deve farci comunque smettere, pessimisticamente, di cercare la Verità…perché, in tale ricerca, si è davvero Uomini.
Fonti:
Massimo Centini, “Misteri d’Italia”, Newton Compton Editori, Roma, settembre 2006
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