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Macchu Picchu
Negli anni Trenta del millecinquecento i conquistadores agli ordini di Francisco Pizarro giunsero in Perù decisi ad impadronirsi di quella rieda di Nuovo Mondo che per le monarchie europee avrebbe dovuto rappresentare un autentico serbatoio di ricchezza. Il destino dei popoli che abitavano la regione era segnato per sempre, ma, in realtà, quando Pizarro mise piede in Perù l'antica potenza dell'impero Inca era già minata alle fondamenta dalla guerra civile che imperversava nella regione. I conquistadores non fecero altro che dare il colpo di grazia a una civiltà ormai decadente, e le truppe di Pizarro, meno numerose di quelle nemiche ma dotate di armi più micidiali e affiancate da un'efficiente cavalleria, seppero approfittare di quel momento di debolezza e di travaglio sconfiggendo uno dopo l'altro i sovrani delle regioni in cui era suddiviso l'impero. Uno di essi, chiamato Manco Capac, dopo la sconfitta abbandonò la capitale Cuzco e si inoltrò nelle Ande per fondare una nuova città, Vilcabamba, un luogo dove si dice che lui e i suoi successori regnarono indisturbati per i successivi trentasei anni. Vilcabamba divenne una leggenda e una vera ossessione per molti archeologi del nostro secolo. Tra questi Hiram Bingham, dell'Università di Yale, che coltivava il sogno di ritrovare quella città perduta. Cosi' nel 1911 organizzò una spedizione in Perù alla ricerca dell'ormai mitica Vilcabamba. Partì da Cuzco e percorse tutta la regione esplorando le rive del fiume Urubamba. Dopo molti giorni incontrò un contadino che si offri di accompagnarlo a visitare alcune rovine poste sulla cima di una montagna, che l'indigeno chiamava l'Antico Picco, Machu Picchu nella lingua locale. Dopo un avventuroso percorso attraverso la giungla, ponti sospesi e ripide salite lungo vertiginosi pendii, la spedizione arrivo' in cima a una collina dove alcune rovine facevano capolino dal folto della vegetazione. Giunto nei pressi di quella che oggi é conosciuta come la Tomba Reale, Bingham si rese conto di trovarsi di fronte a qualcosa di straordinario. Fu colpito in particolare dalle pareti di granito bianco e dall'accuratezza con cui erano realizzate le parti in muratura. Prodigi di architettura da mozzare il fiato. LA CITTADELLA SACRA. L'archeologo credette di aver finalmente trovato Vilcabamba e un anno dopo organizzò un'altra spedizione per ripulire i ruderi dalla secolare coltre di vegetazione che li ricopriva. Il mondo seppe così dell'esistenza di quella cittadella arroccata su uno sperone roccioso a 2300 metri d'altezza e a 450 metri a strapiombo sulle rive del fiume Urubamba. Machu Picchu: un luogo meraviglioso che però, contrariamente alle aspettative del suo scopritore, non era Vilcabamba. Quest'ultima infatti, secondo alcuni documenti spagnoli rinvenuti in seguito, si trovava nella direzione opposta rispetto a Cuzco e ancora oggi gli archeologi proseguono la loro diatriba sull'esatta collocazione della leggendaria città. La cittadella di Machu Picchu é uno dei più incredibili complessi urbanistici del mondo. Una portentosa opera di ingegneria civile realizzata in un ambiente tutt'altro che agevole. Gli edifici si sono conservati quasi tutti perfettamente, tanto che non ci si stupirebbe di veder camminare ancora oggi sulle gradinate e sui sentieri di pietra qualche sopravvissuto della civiltà Inca. Perché é quasi sicuro che la città, almeno da un punto di vista architettonico, é stata costruita proprio dagli incas. É però impossibile stabilire con precisione l'origine del complesso, che rimane tuttora avvolta dal più fitto mistero. In realtà, per quanto se ne può sapere, Machu Picchu non era una vera e propria città, almeno non nel senso in cui intendiamo oggi questo concetto. Era, molto probabilmente, un insieme di templi, osservatori e palazzi destinati ad accogliere l'élite degli incas, sacerdoti e uomini di potere. Una specie di città sacra che aveva anche una valenza strategica. Infatti, dominando la valle del fiume Urubamba, che era l'unica via per arrivare a Cuzco, Machu Picchu svolgeva anche un'importante funzione di avamposto. Oltre tutto era una vera e propria roccaforte, inaccessibile al nemico, data l'altezza e la conformazione a strapiombo della roccia su cui é costruita. Dal punto di vista urbanistico, Machu Picchu é divisa in due parti, da una scalinata di granito composta da oltre 150 gradini. Tale scalinata era il principale asse viario e collegava la Piazza Sacra al punto più alto dove é situato l'Inti-huatana, una pietra sacra dedicata a Inti, dio del sole. La rete viaria della cittadella era molto ripida e costituita prevalentemente da scalini, per superare pendenze altrimenti eccessive. L'architettura era perfettamente adeguata alla topografia del luogo. Eseguendo incredibili opere di terrazzamento, gli incas furono in grado di realizzare in uno spazio tutto sommato piccolo e angusto un'armonica successione di templi, santuari, piazze, quartieri residenziali, zone agricole e perfino un complicato sistema di bacini d'acqua. IL TEMPIO DEL SOLE . Nella città spiccano alcune costruzioni caratteristiche. Ad esempio Il Tempio del Sole (la prima costruzione scoperta da Bingham), un edificio privo di tetto posto nella parte sud-orientale del settore urbano, che cinge con un tratto di muro dalla forma semicircolare una roccia levigata usata per le funzioni religiose connesse con il culto del Sole. O il già citato Inti-huatana, il luogo dove é collocata una pietra dalla strana foggia, sormontata da una grossa colonna che permetteva agli incas di conoscere l'altezza del sole e di calcolare l'ora, le stagioni, i solstizi, gli equinozi basandosi sulla posizione e lunghezza dell'ombra proiettata. A ogni solstizio invernale in occasione della festa di Inti Raymi, il dio veniva simbolicamente legato al sole (da cui il nome della pietra) per assicurarne il ritorno l'estate seguente. Chi si reca oggi a Machu Picchu rimane profondamente impressionato dalla monumentalità delle opere in muratura. Come abbiamo accennato, gli incas non conoscevano l'uso della ruota e non possedevano nemmeno animali da tiro. Questo deve aver reso ancor più ardua una simile impresa. I muri degli edifici pesano parecchie tonnellate e le pietre sono incastrate in modo cosi' preciso che risulta difficile far passare nelle fessure che le dividono perfino la lama di un coltello. Questa precisione negli incastri é ancora più stupefacente se si pensa che la foggia delle pietre murali é molto particolare, con numerosi spigoli incastonati tra loro senza l'utilizzo della malta. Questa struttura ha consentito alle costruzioni di sopravvivere alle numerose scosse sismiche che periodicamente devastano la regione delle Ande. Ma come poterono gli incas scolpire e incidere il granito con simile precisione? Le ricerche degli archeologi non hanno portato alla luce utensili abbastanza resistenti da poter lavorare pietre così dure. Gli incas erano abilissimi a fondere e lavorare metalli teneri, ma gli storici concordano sul fatto che essi non giunsero mai a lavorare il ferro. Nonostante tutti questi limiti tecnologici, rimane il fatto che essi realizzarono un'opera architettonicamente stupefacente. Qualcuno ha proposto l'ipotesi che gli incas potessero attingere a giacimenti di ematite, materiale che però si usura facilmente e che comunque non é presente nella zona. Un'altra teoria, più fantasiosa e molto amata dai sostenitori dell'archeologia spaziale, presuppone l'impiego di una tecnologia laser, di origine extraterrestre, per incidere e rifinire i massi. Naturalmente mancano prove per sostenere una simile ipotesi e lo stesso discorso vale per la teoria esoterica che chiama in causa i presunti poteri occulti degli sciamani, che con i loro poteri sarebbero stati in grado di manipolare la materia facendole assumere la forma desiderata. Da notare è che la precisione con cui gli Incas tagliavano le pietre è stata rilevata anche in altre parti del mondo , persino in alcune città Egizie : Forse una esisteva (millenni fà) una civiltà evolutissima capace di tanto? Una civiltà che scomparve ma i cui membri si sparsero in varie parti del mondo? E se si, Mu era il nome di questa civiltà? BRONZO E PIETRA, NIENTE ORO. Bingham, lo scopritore di Machu Picchu, scoprì molti reperti nella cittadella; si trattava per lo più di oggetti in pietra, bronzo e ossidiana. Erano del tutto assenti invece gli oggetti d'oro. Anche questo é un mistero, poiché a rigore di logica l'oro avrebbe dovuto abbondare in un simile complesso. Fu avanzata l'ipotesi che i conquistadores avessero depredato la città, come erano soliti fare durante le loro spedizioni. Ma gli spagnoli non conoscevano l'esistenza di Machu Picchu poiché questa non risulta segnata sulle antiche mappe da loro tracciate. I conquistadores erano molto meticolosi nell'annotare le loro razzie e i luoghi che avevano visitato e spogliato di ogni ricchezza. Secondo l'archeologo peruviano Victor Angles Vargas, Machu Picchu sarebbe stata abbandonata dalla sua gente verso la fine del XV° secolo, molti anni prima dell'arrivo degli Spagnoli. Fu un abbandono repentino il cui motivo rimane un grande mistero. Sono state avanzate diverse teorie, ma nessuna e' suffragata da prove concrete. La prima ipotesi fa riferimento alle numerose guerre tra tribù incas che erano piuttosto frequenti, e che nel peggiore dei casi, terminavano con lo sterminio di massa dell'intera comunità nemica. La seconda teoria chiama in causa una curiosa e sinistra usanza del popolo Inca, tramandataci da Garcilaso de Vega, figlio di uno spagnolo e di una principessa Inca. De Vega sostiene che, secondo la tradizione del popolo andino, chiunque fosse stato giudicato colpevole di violenza carnale nei confronti di una delle sacre "ajllas" (le vergini del sole) veniva messo a morte assieme ai suoi servitori, ai parenti, ai vicini e a tutta la comunità. Perfino il bestiame veniva ucciso. Il luogo di provenienza del dissacratore era poi maledetto e dimenticato per sempre. Machu Picchu ha subito questo destino? Un'altra ipotesi é invece quella dell'epidemia. Non é escluso che un morbo terribile abbia colpito la città costringendo le autorità ad abbandonarla insieme a tutta la popolazione, e a metterla per così dire in quarantena perpetua.
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