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L’isola del tesoro: L’isola Robinson Crusoe
a cura di Alberto Rossignoli
L’isola del tesoro, il cui nome ufficiale è “isola Robinson Crusoe”, si trova nell’arcipelago Juan Fernandez, a 700 km dalle coste del Cile.
L’arcipelago prende il nome dal navigatore spagnolo Juan Fernandez, detto El Brujo, lo Stregone. L’isola fu usata poi come rifugio da pirati e bucanieri.
Uno di questi, lo scozzese Alexander Selkirk, fu preso a modello da Daniel Defoe per il personaggio di Robinson Crusoe.
L’isola più piccola di questo arcipelago, Santa Clara, è popolata solo d’estate da un centinaio di pescatori di aragoste. Un’altra, molto più grande, prende il nome dal personaggio romanzesco Robinson Crusoe, ispirato, come accennato a Daniel Defoe dal bucaniere scozzese Selkirk.
Come appare l’isola?
Le vette più alte, oltre i 900 m, sono di solito immerse nelle nuvole. Le montagne, verdi in altura, scendono a precipizio. Le coste sono in genere brulle e desolate; tuttavia, al centro dell’isola, si apre un’ampia valle ammantata della foresta sempreverde sub-artica. Lì la natura non pare conoscere mezze vie, tutto è immenso o minuscolo: alberi grandiosi e palme nane, felci di inusuale grandezza e colibrì poco più grossi di un calabrone.
In basso, sulla riva di una baia, il villaggio di San Juan Bautista, un centinaio di casette, quasi tutte in legno, senza fondamenta ma poggiate su palafitte alte mezzo metro, allineate su un corso sterrato. Cascate di buganvillee e fiori bianchi, a forma di enormi calici, ingentiliscono l’abitato.
Nessuno dubita che l’isola sia piena di tesori.
Almeno quattro, secondo il capo della Forestale, Ivan Leiva, che passa anche per scettico…
Soprattutto d’inverno, quando è rischioso avventurarsi in mare, molti pescatori vanno a perlustrare le grotte di cui abbonda l’isola, solitamente nell’insenatura conosciuta come Puerto Francés. Ogni tanto si imbattono in posate, tombe , teschi, coltelli; se qualcuno ha trovato qualcosa di più, non lo è andato a dire in giro.
La più convinta, tra i cazatesoros locali è Maria Teresa Beeche, proprietaria della taverna-pensione Daniel Defoe. La caccia al tesoro è da anni la sua ossessione, per via di quella pergamena ereditata dal suocero, un medico cileno che raccontava di averla trovata in uno scrigno sepolto nella sabbia (!). Una pergamena scritta in un inglese arcaico, in cui si allude al tesoro del Viceré delle Indie e si richiamano alcuni segnali per trovarlo…
Nell’archivio privato di una famiglia aristocratica britannica, gli archivisti di Bernard Keiser, un commerciante che conobbe l’ostessa cilena (e la sua storia), rintracciarono altre due pergamene che rimandavano alla prima e altre ricerche nel monumentale Archivio de las Indias, a Siviglia, consentirono di completare le traversie di quel tesoro. Unico problema: le lettere (il cui autore è un erto capitano Webb) sono indirizzate ad un ufficiale britannico che conosceva già l’ubicazione del tesoro… Ma qualcosa di interessante è comunque giunto a noi.
I barilotti pieni d’oro sarebbero sepolti nella “Bocca dello Scorpione”, a una certa misura marina dal “punto di osservazione” (?).
Due scoperte decisive, da parte di Keiser, hanno contribuito a rischiarare questo mistero.
In un approdo noto come Puerto Inglés, ai piedi di una piccola conca, c’è la grotta che Selkirk-Robinson avrebbe usato come rifugio o stalla per le capre.
In fondo, Keiser trovò incise alcune lettere, tuttora ben visibili. Anzitutto ANSON, con una sorta di U che penda dalla A; non si tratterebbe di una U, bensì di un ferro di cavallo: la spedizione segreta alla ricerca del tesoro commissionata dall’ammiraglio Anson a Webb si chiamava appunto “Horseshoe”, ferro di cavallo.
Accanto ad ANSON si leggono, scolpite in profondità, le lettere che starebbero per le iniziali di Juan de Ubilla y Echeverria, il primo custode del tesoro. Accanto, una grande S, forse la rotta Spagna-Cuba-Capo Horn-Perù, che aveva portato Ubilla a Lima.
Poi Keiser scoprì che i due cannoni abbandonati sopra la grotta non erano affatto spagnoli, come credevano gli isolani, ma inglesi: proprio il tipo di cannoni imbarcati in quello scorcio del Settecento dai mercantili come la nave di Webb, l’Unicorno. Ecco il “punto d’osservazione” da cui iniziare la caccia la tesoro della Rosa d’oro.
Questo e altri documenti ritrovati da Keiser hanno convinto il Consiglio nazionale dei monumenti cileno. Due archeologi sovrintendono alle ricerche, iniziate sotto la direzione dell’ostessa Beeche, di Keiser, e di un vicino di casa di Keiser, Jack Grandi, capo dei pompieri di Highwood.
Dopo un giorno di scavi è stata portata alla luce una fessura la cui imboccatura, dalla conformazione, sembrerebbe essere la “Bocca dello Scorpione” citata nelle pergamene.
Ma del tesoro neppure l’ombra.
L’ostessa Beeche fa notare che i pirati (ma Anson, teoricamente, non era un pirata) non erano dei novellini, per cui devono aver occultato il tesoro con una certa perizia…
Le ricerche, tuttora, proseguono in maniera irregolare, a causa di svariati problemi organizzativi e di coordinazione tra i vari enti coinvolti; senza contare che gli indigeni mal digeriscono la concorrenza straniera.
Ma poi, questo tesoro, esisterà davvero? E se sì…dov’è?
Fonti:
Focus; Lorenzo D. Mariani, L’isola del tesoro
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