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Gli Indoeuropei: chi erano?
a cura di Alberto Rossignoli
Alla fine del Settecento, l’inglese William Jones, magistrato in India e studioso di lingue, scoprì sorprendenti affinità, nelle radici dei verbi e nelle forme grammaticali, tra il sanscrito, la lingua dei più antichi testi letterari e religiosi indiani, il latino e il greco. Jones si accorse poi che anche il celtico, il gotico (tedesco antico) e il persiano erano imparentati col sanscrito. Giunse alla conclusione che tutte queste lingue dovevano avere una comune radice linguistica; e, se c’era stata una lingua comune, si doveva cercare il popolo che l’aveva parlata.
Nel 1813 una altro inglese, Thomas Young, chiamò quelle lingue imparentate “indoeuropee” e “indoeuropeo” il popolo dell’idioma originario.
Ebbe allora inizio la caccia alla loro patria.
Non poteva essere l’odierna Europa, abitata per migliaia di anni da tribù primitive di cacciatori e raccoglitori e dove alla fine era esplosa la cosiddetta rivoluzione neolitica. Il primo passo di questa nuova forma di economia fu la levigatura degli attrezzi in pietra, al posto della semplice scheggiatura, che li rendeva più efficaci e funzionali. Poi la scoperta della possibilità di coltivare piante commestibili, grazie al miglioramento climatico, e la domesticazione degli animali per l’allevamento.
Le nuove conoscenze arrivarono con le “avanguardie contadine” provenienti dal Medio Oriente, dove si riuscì a coltivare varietà selvatiche di grano e orzo. Da lì la tecnica agricola si diffuse verso nord, ovest ed est. Novemila anni orsono, come dimostrano le datazioni al radiocarbonio di residui alimentari e di pollini trovati in scavi archeologici, le popolazioni del Vecchio Mondo avevano sotto controllo anche sorgo, piselli e lenticchie e addomesticato il bue, la pecora, il maiale, la capra e il cane. Sempre col radiocarbonio, si è potuto stabilire che l’agricoltura avanzò alla velocità media di 1 km all’anno, impiegando 4 mila anni per arrivare in Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, e molto più in Scandinavia, dove la glaciazione non era terminata.
La società neolitica, a detta degli studiosi, raggiunse un notevole sviluppo, dando vita a quelle che vengono chiamate culture Cucuteni, Legyel, Tisza, o cultura Vinca (dai luoghi dei primi ritrovamenti). Costruivano case rettangolari a più stanze, centri urbani anche di 200 mila metri quadri. Gli abitati non sorgevano fortificati su colline, ma presso i corsi d’acqua, a testimonianza che la guerra era molto rara, come la presenza di armi. In quella che l’antropologa Marija Gimbutas chiama la “Vecchia Europa” non esistevano classi sociali, figure rigide di capi e macroscopiche divisioni di ruoli fra i sessi. Si costruivano templi dedicati a divinità femminili, ritrovati per esempio in Romania e in altre località balcaniche.
Secondo la Gimbutas, su tutto vegliava il mito di una grande madre (raffigurata come dea uccello, dea serpente e dea della fertilità). Le regole erano scandite da una società matriarcale.
Su questa pacifica società, attratto, sembra, dalla sua ricchezza di messi, rame e oro, irruppe un popolo di pastori nomadi e guerrieri, circa 6 mila anni fa. Secondo questa ricostruzione, sostenuta in particolare dai linguisti, gli Indoeuropei sommersero tutto e tutti con i loro rigidi costumi, le loro leggi severe, la loro lingua. Avevano armi in bronzo (e poi in ferro), erano organizzati gerarchicamente, avevano re militari e la cavalleria. Invece di dee comprensive e generose che ricordavano il contatto con la terra e la rigenerazione del grano, avevano divinità maschili che dal cielo ordinavano obbedienza e punivano prima di perdonare. Dagli Indoeuropei si pensa discendano le popolazioni che oggi abitano l’Europa e l’Asia fino all’India con le loro lingue antiche e moderne: italiche, anatomiche, celtiche, germaniche, balto-slave, albanese, greco, armeno, indoiraniche e altre misteriose come il tocario (parlato, pare, nel Turkestan orientale, in Cina, nel primo millennio d.C.).
Luca Cavalli Sforza, Alberto Piazza e Paolo Menozzi, in diverse ricerche di genetica, hanno rilevato che la percentuale di popolazione europea che possiede il fattore sanguigno Rh positivo è molto alta in Medio Oriente e diminuisce a mano a mano che si procede verso ovest, dove invece prevale il fattore Rh negativo, al punto che tra i baschi l’Rh positivo è molto raro.
Ciò significa che un tempo la popolazione europea era divisa in due gruppi: Rh negativi a ovest e Rh positivi a est; e da est partì l’avanguardia tecnologica che diffuse, oltre all’agricoltura, il suo fattore Rh positivo. Basandosi sul calcolo percentuale di altri geni, i ricercatori hanno accertato anche una migrazione da una zona a nord del Mar Nero verso occidente.
Erano gli Indoeuropei?
Soggiogati dal fascino dell’India e del sanscrito, per decenni gli studiosi cercarono lì la patria degli Indoeuropei; fino a gettare le basi dell’arianesimo, trasformato poi in razzismo e antisemitismo. Tutto nasce dal fatto che in certi poemi, i Riveda, si parla di un popolo bellicoso, gli Aryos; in sanscrito la parola “arya” significa “nobile”, “aristocratico”. Per cui, facile concludere che gli Indoeuropei erano “nobili” rispetto agli altri popoli.
Ma anche il sanscrito, si scoprì, deriva dall’indoeuropeo. In ugaritico, lingua semitica parlata in Siria nel 2 mila a.C., esiste il termine “ary” che significa “compagno”, “parente”, poi prestato alle lingue indoeuropee. Il termine “ariano” è in realtà di derivazione semitica.
Seguendo labili indizi linguistici ci fu anche chi, sulla base di versetti biblici, indicò come patria degli Indoeuropei l’Asia centrale, e poi Babilonia.
Fantasiosa è poi la tesi di uno studioso indiano, il quale credette di vedere nei testi Veda e Avesta il racconto di un’epoca in cui il Sole sorgeva a sud e il giorno e la notte duravano entrambi sei mesi. Poiché ciò avviene al Polo Nord, secondo questo studioso gli Indoeuropei dovevano aver abitato lì, in un’epoca in cui faceva meno freddo.
Nella seconda metà dell’Ottocento, l’eurocentrico Theodore Poesche partì da una discutibile osservazione: Greci e Latini avevano descritto Celti e Germani con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Poiché i loro crani risultavano di tipo allungato (dolicocefali), cercò una popolazione con queste caratteristiche e pensò di averla trovata nei lituani, mentre altri pensarono invece agli scandinavi.
Poi la patria ancestrale dei Germani fu collocata nell’area tra il nord della nazione tedesca e il sud della Scandinavia, ossia in corrispondenza della presunta patria degli Indoeuropei. La civiltà europea veniva dunque da quella zona. Nessuno mise in dubbio questa tesi, e i nazionalisti tedeschi la presero sul serio, con i disastri che seguirono.
L’ipotesi attualmente più accreditata è quella della già citata Gimbutas.
Gli Indoeuropei in origine erano il popolo dei Kurgan, dal nome delle loro sepolture a tumulo diffuse nelle pianure del Volga. Partendo da lì, e poi dal Mar Nero e dal Mar Caspio, gli Indoeuropei avrebbero invaso l’Europa e l’India a più riprese, fra i 6 mila e i 5 mila anni fa.
I loro insediamenti erano dominati da fortezze ciclopiche, le tombe hanno rivelato che i capi venivano sepolti non senza il sacrificio dei loro servitori e delle loro concubine.
Alcuni però non sarebbero d’accordo con questa visione.
A detta di Umberto Tecchiati, paleoetnologo della Soprintendenza di Bolzano, le popolazioni erano disperse e frammentate, così come le lingue e i dialetti. Più facile che siano stati scambi commerciali e flussi migratori spontanei a portare l’ibridazione culturale.
Per l’antropologo Brunetto Chiarelli, l’indoeuropeismo sarebbe una trovata ideologica e la vicinanza linguistica deriverebbe dalla necessità dei gruppi umani di trovare un comune terreno linguistico per facilitare la comunicazione e il commercio.
Ma, come fa notare il linguista spagnolo Francisco Villar, rimarrebbero da spiegare delle sacche di resistenza all’omologazione indoeuropea: quelle di baschi, finlandesi, estoni e ungheresi, discendenti dal gruppo linguistico ugro-finnico, originario degli Urali, più a nord e più a est.
Fonti:
Focus 12/2003; Franco Bordieri, Il mistero degli indoeuropei
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