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Il culto delle immagini acheropite in Italia
a cura di Alberto Rossignoli
Tra i tanti oggetti di culto, nel nostro Paese, troviamo anche le immagini cosiddette "acheropite" ; che significa questo termine? Alla lettera, sta a significare "non realizzate da mano umana" , vale a dire, prodotte miracolosamente.
Nei primi secoli dell'era cristiana, dapprima nel Vicino Oriente e successivamente in Europa, circolava una gran quantità delle suddette immagini (sovente dei falsi prodotti ad arte). Di tutte queste opere, tre sono giunte sino a noi: una si trova a Genova e le altre a Roma e Manoppello.
Parliamo dell'immagine conservata a Genova, nel convento di San Bartolomeo degli Armeni, si racconta che questo ritratto fu donato dall'imperatore bizantino Giovanni il Paleologo a Leonardo Montaldo, doge di Genova, che si era guadagnato la sua stima per il suo impegno nella lotta contro i Turchi. Nello specifico, detta immagine è un ritratto del volto di Cristo, simmetrico e caratterizzato da un'impostazione formale bizantina, anche se, sinceramente, una lettura critica oggettiva sembra difficile, data la patina scura che ricopre la spessa stesura della vernice della tavola, che misura 28,7 X 17,3 cm,
Nel 1384, l'icona, a seguito della morte per peste del doge, fu ereditata dal monastero di San Bartolomeo degli Armeni; godette immediatamente della devozione popolare, a tal punto che, quando nel 1507 fu trafugata, oltre ventimila persone si raccolsero in preghiera per ottenerne la restituzione. Due anni dopo, l'icona tornò nella sua sede.
All'osservazione, questa raffigurazione si presenta come un'immagine dipinta su un foglio dorato, sotto il quale una più attenta analisi ha rilevato la presenza di una sottile tela. La collocazione del tessuto al di sotto della lamina dorata ha fatto pensare in un primo tempo all'esistenza di una primitiva immagine (acheropita?), mascherata dalla pittura a tempera.
Gli esperti, osservando le indicazioni fornite dal complesso della cornice (che rimanda all'oreficeria bizantina) ritengono che l'opera risalga al XIII secolo.
È protetta da cornici del XVII e XVIII secolo che avvolgono quelle di età paleologa (XIV secolo), in argento dorato che, nel centro, si conforma intorno al volto di Cristo seguendone il perimetro; negli angoli in alto vi sono il monogramma di Cristo e una scritta in greco che significa "il santo Mandilio" .
Nella fascia esterna della cornice sono presenti dieci formelle sbalzate e cesellate, sulle quali sono raffigurate le vicende del Santo Volto (in base alla tradizione agiografica e apocrifa che mette in relazione l'acheropita al miracolo compiuto da Cristo quando inviò al re Abgar di Edessa un panno - mandilion in greco- col suo volto impresso: il contatto con quel santo tessuto determinò la guarigione del sovrano).
Troviamo un'altra immagine acheropita: quella "della Veronica", formalmente diversa da quella genovese e contrassegnata da una storia a dir poco leggendaria (ma che invece sia veritiera?).
Nello specifico, secondo la tradizione, fu la Veronica in persona a portare la reliquia a Roma: da allora quel santo e misterioso fazzoletto mai più abbandonò l'Urbe, trovando una definitiva collocazione in San Pietro. Secondo le varie eversioni apocrife, la Veronica si trovava a Roma perché invitata da un imperatore pagano desideroso di conoscere i poteri taumaturgici della reliquia. Nella fattispecie, sembra che detta reliquia si trovasse a Roma per guarire l'imperatore Tiberio dalla lebbra.
Una "Veronica" è conservata nella cappella Matilde del Vaticano, mentre un'altra analoga è conservata al Museo di Storia dell'Arte di Vienna.
Nella tradizione devozionale, è il Volto di Roma ad essere considerato autentico: è ivi presente dal X secolo e in un documento del 1018 è indicato come "Beronica".
L'affermarsi del culto causò anche un vastissimo diffondersi di riproduzioni che, come nel caso della Sindone, se da un lato hanno favorito la devozione nei confronti della santa reliquia, dall'altra possono altresì aver prodotto una certa confusione nei ricercatori.
Il Velo della Veronica fu distrutto in occasione del Sacco di Roma, come possiamo leggere da due lettere private inviate dalla duchessa di Urbino il 14 e il 21 maggio 1527 a un non meglio identificato "Messer Urbano" e da una lettera del cardinale Salviati dell'8 giugno 1527. Ciò benché in questo caso siamo ai limiti della "urban legend", visto che altre fonti darebbero altra versione.
Infatti il rito di mostrare la Veronica in San Pietro a Pasqua fu osservato anche dopo il Sacco di Roma (6/5/1527), nel 1533, 1535 e 1536 e alla chiusura della Porta Santa.
Il trasferimento, poi, della reliquia nell'attuale tiburio della cupola (21/5/1606) e le conseguenti ostensioni (seconda domenica dopo l'Epifania; gli ultimi quattro giorni della Settimana Santa; Lunedì dell'Angelo; Pentecoste; 22 febbraio; 3 maggio; 18 novembre) sembrerebbero confermare che le voci relative alla sua distruzione durante il Sacco di Roma fossero tutte falsità.
La Veronica non ha mai subito un'approfondita analisi.
Le fattezze del volto si distinguono pochissimo e sono alquanto difficili da scorgere, poiché la reliquia è racchiusa in tre teche d'argento ed è protetta da uno spesso cristallo. Gli occhi del Cristo sono chiusi e ciò contrasta con altri Volti Santi noti, per esempio quello di Genova e Manoppello.
Secondo il parere di padre Heinrick Pfeiffer, che fu docente di Storia dell'Arte Cristiana all'Università Gregoriana di Roma, il Velo della Veronica conservato a Roma sarebbe il Velo di Manoppello. Secondo il ricercatore, quando, nel 1608, Paolo V ordinò la demolizione della cappella ove era conservata la reliquia, il Velo originale scomparve e riaffiorò a Manoppello, ove attualmente si trova.
Nella questione, un dato importante riguarda la tipologia delle riproduzioni: fino a circa il sacco di Roma, il Volto proposto dai vari "Veli" era generalmente privo delle ferite causate dalla corona di spine, mentre successivamente tale peculiarità fa la sua comparsa. Questo potrebbe significare che solo dopo quel periodo il Velo della Veronica fu associato alla salita al Calvario, mentre prima di allora probabilmente la sola versione diffusa sull'origine del Santo Volto, che ebbe ripercussioni notevoli anche sull'arte, era quella relativa alla formazione miracolosa del ritratto di Cristo su un telo durante il periodo della sua predicazione, come indicherebbero peraltro le fonti apocrife più antiche. Ecco che, alla luce di tutto ciò, la tesi del professor Pfeiffer avrebbe una certa consistenza.
Altra immagine acheropita è il Velo di Manoppello, conservato nell'omonimo santuario in provincia di Pescara.
Il tessuto si presenta come una sorta di "diapositiva" molto nitida se osservata ad una certa distanza, in positivo, colorata e priva di tracce di sangue visibili.
Se tuttavia si osserva il Santo Volto da alcuni metri di distanza, Esso sembra divenire trasparente e spesso, in particolari condizioni di luce, l'immagine scompare del tutto fino a trasformarsi in una sorta di specchio.
La reliquia di Manoppello coincide sorprendentemente con l'immagine della Sacra Sindone, suggerendo diverse ipotesi antropologiche che andranno valutate con maggiore attenzione.
Cronologicamente parlando, il Velo di Manoppello entra nella Storia nel XVI secolo: nel 1506, la reliquia fu collocata nell'abbazia di Santa Maria Arabona dei padri cistercensi; nel corso del tempo subì diversi spostamenti, e fu sempre associato a guarigioni miracolose e altri prodigi, come ci è stato tramandato da diverse cronache: resta da definire l'attendibilità delle stesse, ai fini di una completa ed imparziale informazione.
Un ulteriore miracoloso ritratto si formò durante una notte di luglio 1656 nel santuario di Santa Maria Greca a Corato (vicino a Bari), su una tavola di legno che un pittore aveva preparato per dipingere il volto della Madonna. Oltre ad essere apparsa in modo soprannaturale, presentava una particolarissima caratteristica: vicino alla Vergine era stata dipinta sul muro (non si sa in che modo) una misteriosa campanella. Nel corso dei secoli quella stessa campanella, misteriosamente, suona, spaventando oltre modo chi la ode: infatti sarebbe presagio di sventure.
Anche a Confluenti (Catanzaro), in occasione della costruzione del santuario della Madonna della Quercia, fu rinvenuto un ritratto acheropito della Vergine.
E fu un'apparizione mariana a precedere la formazione miracolosa e il ritrovamento della Madonna acheropita della cattedrale dell'Assunta di Rossano (Cosenza).
Un'apparizione determinò la formazione di un'altra acheropita detta "divinitus formata". Testimone del prodigio fu un eremita, Dionisio, che nel 1038, dopo una vita dedita al vizio e al brigantaggio, si ritirò in penitenza in una grotta nei pressi del santuario di Santa Maria di Valverde (Catania). La prodigiosa immagine si impresse su una colonna della chiesa, rinfocolando (prevedibilmente) la fede locale; benché detto santuario è stato più volte abbattuto dai terremoti, la colonna con l'immagine acheropita non è mai stata danneggiata, o almeno così si dice.
Un altro caso è quello della statua conservata nel santuario di Maria Santissima Addolorata di Marsala; all'inizio del XVIII secolo, lo scultore che ebbe l'incarico di realizzare la statua vide in sogno la Vergine che lo rassicurava circa il buon esito del lavoro: recatosi in seguito nel luogo in cui si trovava il materiale grezzo da scolpire, vide che il blocco di legno si era trasformato nell'effigie ancor oggi venerata.
Ma le immagini acheropite riguardano anche le fotografie: Pino Casagrande, di Borgosesia (Vercelli), nel 1982, dopo aver scattato una banale foto ad una signora anziana scoprì sullo sfondo della copia su carta l'immagine della Madonna. Che può essere? Semplice effetto ottico? Mistificazione? Oppure…
Detta fenomenologia inerente alle fotografie ebbe modo di ripetersi nel tempo.
Generalmente, il veggente percepisce un irresistibile impulso a scattare una foto all'interno di un certo ambiente o comunque in un certo luogo: dopo lo scatto, sulla pellicola impressionata saranno presenti, sovente in modo evanescente, le immagini della Madonna o, in altre occasioni, quelle di Cristo.
Più volte il signor Casagrande è stato invitato in varie località in cui molti testimoni affermavano di osservare luci e altri fenomeni alquanto strani: quasi sempre le fotografie scattate in detti luoghi rivelavano la presenza della Madonna o di Cristo e dopo lo scatto della foto, il fenomeno non si sarebbe più ripetuto.
Che spiegazione possiamo dare a ciò?
Mistificazione?
Suggestione?
Oppure, capacità di impressionare le pellicole? Senza scomodare, magari, la Madonna e Cristo..?!
Anche in quest'ultima ipotesi, la suggestione, unita ad un certo fanatismo religioso gioca un ruolo fondamentale.
The research must go on!
Fonti:
Massimo Centini, "Misteri d'Italia", Newton Compton Editori, Roma, Settembre 2006.
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