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Fusione fredda: una lucente speranza dell'umanità oscurata
a cura di Aroldo Antonio
La fusione fredda, più propriamente chiamata fusione nucleare fredda, e il nome attribuito a reazioni di fusione nucleare, che avvengono a temperature relativamente basse invece che a milioni di gradi Kelvin normalmente necessari.
Sia nel caso della fusione termonucleare, sia nel caso di quella fredda, è necessario far avvicinare i nuclei di Deuterio e Trizio a distanze tali da poter permettere le reazioni di fusione; nella fusione fredda, però, tali reazioni sono accelerate dai cosiddetti catalizzatori ed avvengono a temperature e a pressioni relativamente basse. A seconda del tipo di catalisi utilizzata, si parla di fusione fredda prodotta tramite "Confinamento Muonico" o "Confinamento Chimico".
Nel Confinamento muonico il Muone è in grado di far avvicinare i nuclei di Deuterio e Trizio a temperatura ambiente e pressione atmosferica; purtroppo, però, la vita del muone è molto breve e ad oggi non si è ancora in grado di fargli catalizzare un numero sufficiente di reazioni prima che "muoia", tali da rendere il suo utilizzo conveniente dal punto di vista energetico.
il confinamento chimico consiste, invece, nell'utilizzare la proprietà del Palladio, (o di altri catalizzatori), di impregnarsi di Idrogeno e dei suoi isotopi. Immergendo in una soluzione liquida a base di Deuterio due elettrodi (uno di Palladio e l'altro di Platino) e fornendo energia elettrica, si ha il passaggio di una corrente attraverso la soluzione elettrolitica che dà origine a Elio, Trizio, neutroni, Raggi gamma e raggi X. Si registra, inoltre, una quantità di calore prodotto, maggiore dell'energia fornita attraverso la batteria che alimenta la cella. Ciò sarebbe dovuto alla fusione dei nuclei degli atomi di Deuterio, grazie alle proprietà catalizzatrici del Palladio.
Quest'ultimo tipo di procedimento è stato quello adoperato anche da Fleischmann e Pons nella loro cella elettrolitica.
La fusione fredda divenne improvvisamente famosa il 23 marzo 1989, quando i chimici Stanley Pons (della Università dell'Utah negli USA) e Martin Fleischmann (dell'Università di Southampton England) annunciarono alla stampa di essere riusciti a realizzarla. Altri gruppi annunciarono risultati analoghi, ma poco dopo iniziarono ad arrivare notizie negative, e dopo pochi mesi la maggior parte degli sperimentatori negava che le reazioni avessero luogo. Pons e Fleischmann ottennero energia in eccesso da una cella elettrolitica con due elettrodi (Platino (+) e Palladio (-)), che non poteva avere origini elettrochimiche, fondendo deuterio ed ottenendo elio. La natura nucleare di quest'energia fu confermata, nel 2002, dai laboratori italiani dell'ENEA.
La fusione fredda continua ad essere oggetto di ricerca in alcuni Paesi, tra cui l'Italia. Il gruppo italiano A. De Ninno e A. Frattolillo, guidati dal professor F. Scaramuzzi, realizzò infatti un esperimento utilizzando il titanio al posto del palladio e dimostrò che quando il titanio assorbe a bassa temperatura gas deuterio, si verifica un surplus di energia e sono emessi neutroni. Lo stesso gruppo di ricercatori ha dimostrato, tramite un successivo esperimento, la produzione di Elio-4 dalla cella elettrolitica costituita da un catodo di palladio e da un anodo di platino immersi in acqua pesante. Secondo il sito internet dell'ENEA, dal febbraio 2003 il progetto è stato accantonato perché non sono stati stanziati nuovi fondi per il suo sviluppo. Notevolmente approfondita l'analisi giornalistica di rainews24, che merita una citazione esplicita. La tesi adombrata dal giornalista (sulla base di un supporto documentale coeso e trasparente) è piuttosto seria, e ipotizza l'esistenza di una manovra politica rivolta a depistare le finalità della ricerca da un contesto meramente civile ad uno di carattere bellico.
Dal 2005 e tuttora è finanziato dallo stato un gruppo di ricercatori dell'Enea guidato da Vittorio Violante, il quale ha ottenuto dei risultati preliminari considerati interessanti.
La teoria precedente a quella costituita da Stanley Pons e Martin Fleischmann, mostrava inequivocabilmente che per ottenere la fusione di nuclei anche leggeri di atomi era necessario esporre questi nuclei a temperature elevatissime. Queste teorie erano suffragate da esperimenti molto importanti e da principi oggi quasi perfettamente dimostrati. La bomba termonucleare per esempio è una evidente dimostrazione di quello che stiamo dicendo. Un contenitore di deuterio e trizio (due isotopi dell'idrogeno), sono portati ad elevata temperatura grazie all'esplosione di una bomba atomica utilizzata appunto per l'innesco. La temperatura elevatissima di circa 10 - 20 milioni di gradi permette lo svolgimento della reazione di fusione tra il trizio e il deuterio che producono a loro volta enormi quantitativi di altra energia (purtroppo in questo caso estremamente distruttiva).
In generale, comunque, gran parte della comunità scientifica internazionale ha accolto con scetticismo e sfiducia i risultati sperimentali, che hanno suscitato notevoli polemiche. L'argomento principale a discredito della fusione fredda è quello secondo cui nella fusione fredda si producono un numero di particelle nucleari troppo basso per poter giustificare il calore prodotto. Inoltre esistono ancora numerose controversie (di tipo teorico) sulla natura e sui meccanismi della fusione "fredda".
Una delle teorie più solide fu enunciata da Giuliano Preparata, docente di Fisica Nucleare dell'Università di Milano, che elaborò una sua "teoria coerente sulla fusione fredda", basata sull'elettrodinamica quantistica (QED) nella materia condensata e capace di effettuare previsioni corrette sui risultati da ottenere.
Le controversie sulla fusione fredda sono state causate dall'estrema difficoltà riscontrata nel riprodurre con sicurezza l'esperimento: delle centinaia di tentativi di replicazione effettuati negli ultimi 15 anni, la grande parte non ha dato risultato positivo, il che ha gettato discredito sull'argomento per quanto alcune decine di esperimenti condotti con metodologie del tutto differenti e da parte di gruppi indipendenti abbiano mostrato produzione di calore in eccesso.
I ricercatori nel campo della fusione fredda avanzano una spiegazione per questa difficoltà: sostengono che i dati sperimentali mostrano che il fenomeno, per prodursi, necessita di un "rapporto di caricamento" di deuterio nella matrice di palladio estremamente elevato e difficilissimo da mantenere. In tutti gli esperimenti riusciti, il rapporto (atomi di idrogeno pesante) / (atomi di Pd) al momento della produzione anomala di calore era uguale o superiore a 0.95.
Raggiungere un tale rapporto non solo è molto difficoltoso, ma produce anche gravi stress nella struttura del metallo, e in generale lo danneggia al punto da far ricadere ben presto la concentrazione al di sotto di quel livello. Finchè non verrà trovata una metodologia pratica per mantenere il rapporto di caricamento a livelli utili, dunque, i successi resteranno del tutto sporadici.
Ulteriori informazioni su questa teoria sono reperibili in questo articolo pubblicato dall'università cinese di Tsinghua e firmato da alcuni appartenenti ai gruppi di ricerca italiani sulla FF.
Altri gruppi hanno osservato la correlazione tra la produzione di trizio e il caricamento oltre 0.9 del palladio. Va anche notato che l'autore di quest'ultimo articolo, nonostante ciò, si pronuncia come contrario all'ipotesi della fusione, data l'assenza di flusso neutronico da quella che definisce "la reazione sconosciuta" che genererebbe il trizio. Molti ricercatori impegnati nella fusione fredda contestano quest'ultima affermazione, ma la conferma indipendente del risultato sul trizio da parte di uno sperimentatore scettico è molto importante.
Secondo le teorie più recenti, anche il nostro sole crea energia grazie alle reazioni di fusione dell'idrogeno in elio. Anch' esse sono facilitate dalla grande temperatura della fornace solare,che sono circa 15 milioni di gradi.
Recentemente in rete è apparso il famoso esperimento illustrato in modo abbastanza chiaro da Jean Louis Naudin. Tale esperimento si può dire molto interessante ed è un fenomeno scoperto da due fisici molto famosi, il professor T. Mizuno e T. Ohmori dell'Università di Kitaku in Giappone.
Un giovane studioso campano del quale si conosce soltanto le iniziali "D.C." è stato determinante per il consolidamento del gruppo di lavoro e per l'avvio dell'analisi approfondita di questo problema. Per tale gruppo d'analisi è stato molto semplice ripetere l'esperimento dei due fisici giapponesi. Questo perché il gruppo di ricercatori italiani disponeva di quasi tutti gli elementi necessari a tale tentativo scientifico. Il gruppo di ricercatori che, comunque, ha riprodotto l'esperimento più famoso, compiuto da due fisici Martin Fleischmann e Stanley Pons, lavorandoci sopra per tre anni, dal 1999 al 2002, era di Frascati.
L'esperimento condotto dagli esperti di Frascati consiste nel provare che, come spiega il professor Emilio Del giudice, "la simultanea produzione di eccesso di entalpia e di 4He durante l'elettrolisi di acqua pesante su catodo di Palladio (Pd); ..... L'eccesso di calore è segnalato da un aumento di temperatura, misurato mediante un elemento Peltier di tipo commerciale tenuto in buon contatto termico con il substrato del catodo in film sottile. Allo scopo di rivelare le piccole quantità di 4He che ci si aspetta siano presenti, simultaneamente alla produzione di entalpia, come evidenza del carattere nucleare del processo, è stato messo a punto un metodo di analisi basato sulla totale rimozione di tutti i gas chimicamente attivi presenti nella miscela gassosa prodotta nel corso dell'elettrolisi. L'utilizzo di pompe "Non-Evaporable Getter" (NEG) permette di rimuovere efficacemente dalla miscela tutte le componenti non inerti, ed in special modo gli isotopi dell'idrogeno. I gas nobili che rimangono, soli, in fase gassosa vengono inviati periodicamente allo spettrometrometro di massa e qui analizzati quantitativamente. L'osservazione di una quantificabile trasmutazione di Deuterio in Elio prova univocamente che alla base del fenomeno della cosiddetta "fusione fredda" c'è un processo di natura nucleare. Dalla quantità di Elio prodotto nel corso dell'elettrolisi, in base alla conversione 2D?4He+23.8 MeV, si può stimare l'energia prodotta nel processo. .... Il fenomeno descritto è stato riprodotto diverse volte....".
Tutto ciò in sostansa significa che In una celletta chiusa di pochi cm3 si è immesso gas deuterio purissimo.
La materia è costituita da atomi. Questi, nelle reazioni chimiche, si combinano tra di loro per formare composti. Ossidi, acidi, basi, composti organici, eccetera sono tutti frutti di queste combinazioni tra questi elementi-base: gli atomi. Questi però restano tali, non si modificano. Per esempio, 2 atomi di idrogeno (H) reagiscono chimicamente con uno di ossigeno (O) e danno una molecola di Acqua che è costituita da un 'assieme' ti tali componenti (H2O) . Ciò che ci si aspetta di rilevare in uscita, quindi, è una possibile combinazione dei materiali adoperati che, reagendo chimicamente, producono un composto. Per tale ragione si sono usati materiali ultrapuri e ridotti al minimo: Palladio al catodo, Platino per l'anodo, acciaio (o vetro) per la cella, acqua deuterata ultrapura e LiOD anch'esso ultrapuro. Gli elementi 'in gioco' si sono ridotti quindi a 6: Pt, Pd, D, O, Li, ed il Si del vetro del contenitore. Non ci si potrebbe aspettare quindi altro che prodotti di reazione tra questi elementi.
Inseguito s'immette una quantità di energia (elettricità) nota e misurata con un'elevata precisione.
Questo significa che in un sistema isolato, la stessa quantità di energia, deve essere rilevata nelle diverse forme, e che il totale delle forme in cui essa è stata trasformata deve (salvo le piccole perdite e le tolleranze strumentali) necessariamente essere uguale all'energia immessa in ingresso. Per esempio, l'energia elettrica di una stufetta da riscaldamento deve produrre la stessa quantità di energia sotto forma di calore. O, ancora, un motore che consuma 1000 watt produrrà 980 watt di potenza meccanica all'albero motore più 20 watt di calore (come perdita).
Ebbene, si è misurato che pochi milliwatt applicati in ingresso a tale cella, producono decine di watt in uscita (in realtà il conto va impostato sull'energia, non sulla potenza, ma così è più comprensibile, basta ipotizzare una stessa unità di tempo).
L'analisi del gas in uscita ha rilevato la presenza di 4He (Elio-4).
Dato che non è possibile che un atomo di materia 'trasmuti' in un altro senza coinvolgere appunto fenomeni nucleari, si è cercato di rilevare cosa si sia prodotto all'uscita. Quindi, immettendo in ingresso del deuterio, un 'tipo' (isotopo) di idrogeno, ci si aspetterebbe di misurare in uscita ossido di deuterio (vapori di acqua pesante) o tracce di Deuteruro di Palladio, al limite qualche composto di reazione del deuterio con le pareti della cella, ma mai un altro elemento non contenuto nel materiale iniziale. Ebbene, è stato invece rilevato proprio questo: Elio, un gas più leggero dell'aria il cui nucleo atomico è costituito da 2 neutroni più 2 protoni: esattamente come di 2 atomi di deuterio (protone+neutrone).
Bisogna quindi ammettere che si è assistito ad una reazione nucleare di fusione in cui 2 atomi di deuterio hanno generato un atomo di Elio.
La comparsa di Elio-4 è stata rilevata contemporaneamente all'eccesso di calore misurato.
Qualche irriducibile malelingua potrebbe supporre che l'Elio rilevato possa provenire da qualche 'impurezza' intrinseca nei materiali usati. Però, se così fosse, l'Elio si sarebbe rilevato a prescindere dalle fasi di accensione-spegnimento della cella e della sua manifestazione di calore in eccesso, mentre queste due misurazioni sono state registrate sempre in coppia: eccesso di calore e elio-4. No calore, no Elio-4.
Inamovibile prova oggettiva che il calore è conseguenza della reazione di fusione (o il contrario, anche se alquanto improbabile, se non paradossale).
Il professor Carlo Rubbia, ex presidente dell'ENEA, concesse, a tale gruppo, 1.150.000.000 delle vecchie lire e 36 mesi di tempo per stabilire se c'era una relazione diretta tra gli atomi di elio e la produzione di calore.
L' esperimento condotto dal gruppo di studiosi di Caserta consisteva, invece, nel trovare una cella elettrolitica in vetro dotata però di caratteristiche adiabatiche per non degradare l'energia termica presenti in essa. Pertanto hanno utilizzato una cella in vetro protetta da una camera laterale, sempre in vetro, all'interno della quale è stato praticato il vuoto. Sia ben chiaro che, anche grazie a questi accorgimenti, il calorimetro è purtroppo dotato di forti perdite termiche, non altro per il fatto che il lato superiore deve essere completamente aperto per permettere la fuoriuscita dei gas prodotti dall'elettrolisi. Risulta evidente quindi, che sono stati costretti a praticare oltre alla misura calorimetrica, anche una misura della quantità del liquido evaporato per stabilire l'ammontare dell'energia termica accumulata nella cella.
La cella è stata dotata anche di un prolungamento superiore costituito da due pezzi, uno di polietilene e l'altro di polipropilene con funzione di paraspruzzi. Questo accessorio deve essere pesato accuratamente quando è asciutto, in modo da poter misurare successivamente l'eventuale liquido che potrebbe fuoriuscire dalla cella di vetro. Superiormente alla cella è stato collocato una cappa aspirante costituita da un tubo da 18 cm di diametro alla cui estremità è stata posta una ventola funzionante in corrente alternata.
La ventola aspirante è specifica per questo tipo di compito. State molto attenti ad utilizzare in questi casi solo ventole specifiche per aspirazione di fumi infiammabili. La distanza fra la bocca del tubo aspirante e la parte superiore della cella era di circa 10 cm, sufficiente per connettere le terminazioni elettriche agli elettrodi e collocare i trasduttori di misura. Il tubo a tiraggio si ergeva in alto per una distanza di circa un metro. Era molto importante aspirare i gas che si venivano a generare durante l'elettrolisi. Questi gas dovevano essere velocemente diluiti all'esterno poiché potrebbero innescare pericolose esplosioni.
Questi studiosi non approvavano molto le immagini in rete nel sito di Naudin che illustrano una sistemazione troppo "fai da te" della cella e persuadono l'eventuale lettore che il fenomeno può essere riprodotto con facilità. La cella, anche se nelle condizioni di regime di plasma produce una ridotta quantità di gas, nelle fasi iniziali e finali si genera un'intensa produzione di idrogeno e di ossigeno in quantità stechiometricamente esplosive.
La concentrazione della soluzione elettrolitica, per ottenere un ottimo effetto di plasma a carico dell'elettrodo catodico è costituita da 0.5 M di K2CO3. Una quantità pari a 200 ml di questa soluzione permette di riempire la cella al livello opportuno per evitare fuoriuscite di spruzzi oltre il livello del paraspruzzi. Proprio sopra il paraspruzzi è fissato un supporto plastico di metacrilato forato sul quale sono allocati sia il catodo che l'anodo distanziati per circa 4 cm. L'esperienza di Naudin utilizza un catodo di tungsteno e un anodo costituito da una pagliuzza di acciaio inossidabile. Nel nostro caso invece abbiamo utilizzato sia per il catodo che per l'anodo due elettrodi cilindrici di tungsteno puro di 17,5 cm con spessore 2,4 mm.
In commercio esistono elettrodi di questo tipo contenenti circa il 2% di ossido di torio. Per quanto normalmente venduti ed ammessi dalle leggi italiane si sconsiglia vivamente l'utilizzo di questi ultimi. Poiché durante la reazione elettrolitica si può osservare un certo consumo dell'elettrodo catodico (l'anodo molto di più ), utilizzando tungsteno tipo toriato, quindi, si incorrerebbe certamente in pericolosi inquinamenti della soluzione con estremo pericolo. Il torio, è radioattivo. Il tungsteno toriato, sta per essere ritirato dal commercio e al suo posto si sta già commercializzando un altro tipo di elettrodo TIG chiamato tungsteno ceriato che contiene cerio al posto del torio. Nelle immagini in rete sul sito di Naudin si può osservare che l'elettrodo catodico è a sua volta racchiuso in un tubicino di vetro. Questo espediente sembra essere molto importante per permettere la scarica di plasma sul catodo. Gli studiosi si sono accorti, quindi, che occorreva lavorare con circa 1 cm di elettrodo catodico scoperto. L'anodo invece poteva essere collocato senza particolari problemi. Il tubicino di vetro utilizzato per coprire parte del catodo era di tipo pirex ma il gruppo di studiosi di Caserta hanno ottenuto migliori risultati utilizzando un tubo ceramico.
Infatti, quando la scarica di plasma viene generata, le temperature presso l'elettrodo raggiungono livelli elevatissimi. Lo studioso A.D. aveva calcolato la temperatura raggiunta dall'elettrodo catodico ponendo superiormente ad esso un sensore di temperatura collegato con il computer. Nello strato di plasma pare che si verificano livelli di temperatura che oltrepassano i 3000 °C.
In queste condizioni operative così estreme del catodo, il vetro del tubicino che lo avvolge si degrada e fonde. Normalmente la scarica di plasma prima passa per una fase azzurra molto breve poi si porta ad assumere un colore rosso arancio, infine raggiunge nelle condizioni a regime un colore viola o rosa per poi fornire al completamento ottimale delle condizioni di funzionamento della cella, un colore bianco.
Considerando le condizioni dell'elettrodo nella fase iniziale, cioè la fase buia o nera, sembra quasi il passaggio delle fasi alchemiche chiamate: nigredo, rubedo e albedo al compimento della grande opera. Ovviamente questa suggestiva constatazione non deve essere presa alla lettera. Se il tubetto di vetro, durante la prova, si potrebbe osservare, purtroppo anche una curiosa colorazione gialla posta sopra la zona di plasma che inquina i risultati di analisi radiometrica del bagliore. Questa colorazione, indica appunto la fusione del vetro del tubicino. Il colore giallo è caratteristico dell'emissione spettrale del sodio che è contenuto nel vetro. Per evitare questo fenomeno è possibile usare un tubetto di ceramica refrattaria come l'allumina o altri tipi similari.
Per apprezzare la qualità della scarica di plasma e determinare esattamente gli istanti temporali quando essa si presenta, gli studiosi hanno collocato nell' impianto due sensori. Un sensore è costituito da una cella fotoresistiva in grado di dare informazioni generali sulla luminosità della cella. L'altro sensore è costituito da un pirometro in grado di monitorare lo spettro di energia luminosa prodotto dal catodo. Inoltre, nella figura allegata appare anche un contatore di neutroni che hanno realizzato alla meglio per dare eventuali indicazioni di radiazioni nocive emesse dalla cella.
Nell'articolo di T. Mizuno e T. Ohmori si legge che la reazione elettrolitica produce un flusso di neutroni pari a circa 60.000 conteggi al secondo. E' necessario osservare che se questo dato corrisponde al vero, non è conveniente procedere alla verifica di questa esperienza senza munirsi di particolari protezioni. I neutroni sono un tipo di radiazione estremamente subdola e pericolosa. Essendo particelle prive di carica elettrica possono attraversare molti centimetri di materia prima di fermarsi. L'intensità di un flusso neutronico da 1MeV può essere ridotta alla metà solo dopo che essa attraversa 10 cm di acqua, oppure 4,5 cm di calcestruzzo, oppure 0,9 cm di piombo. Se invece il flusso originario fosse di 10 MeV occorrerebbero 14 cm di acqua per dimezzarlo. Si sta parlando, quindi, di dimezzamento del flusso di neutroni. Ragion per cui, per ridurre a livelli trascurabili il flusso della radiazione, occorrerebbe moltiplicare per 4 o 5 volte gli spessori delle sostanze che sono elencato sopra.
Attualmente non si conosce lo spettro di energia dei neutroni che vengono prodotti da questo esperimento. Comunque è molto importante sapere che la paraffina e il polietilene sono altri materiali schermanti grazie alla grande quantità di idrogeno presente nelle molecole che li compongono. Nel disegno sopra appare in evidenza una finestra trasparente in metacrilato (plexiglas) posta proprio davanti alla cella. Questo schermo (che ha uno spessore di diversi centimetri), è in grado di dare una certa protezione per i neutroni, se occorre necessariamente effettuare osservazioni del fenomeno, augurandosi che l'operatore si ponga a debita distanza e operi per brevissimi tempi. Un consiglio potrebbe anche essere l'uso di specchi combinati opportunamente per l'osservazione.
A questo punto è spontaneo chiedersi se questi esperti hanno misurato o meno un flusso di neutroni. Allo stato attuale non si può rispondere con certezza a questa domanda. Il loro precario contatore di neutroni potrebbe, infatti, anche aver conteggiato dei disturbi elettromagnetici.
La misura della temperatura presentò subito diversi problemi a causa delle forti emissioni elettromagnetiche del plasma che dicevamo poc'anzi. E' stato deciso di utilizzare un sistema integrato di acquisizione per tutti i segnali rilevati dai trasduttori, a sua volta completamente gestito da un personal computer, con un programma realizzato ad hoc per questa esperienza. Pertanto, è stato necessario utilizzare delle termocoppie per misurare le varie temperature presenti nel processo. Il sensore di misura della temperatura, immerso nella cella, è costituito da un involucro in vetro al cui interno è stata posta una termocoppia tipo J (ferro costantana) a sua volta schermata da un contenitore cilindrico di ottone cromato posto a massa.
Questa disposizione non ha impedito la presenza di forti disturbi elettromagnetici che si presentano in modo evidente nell'immagine successiva nel quadrante in basso a destra. Un'altra termocoppia è posta (isolata galvanicamente) a diretto contatto dell'estremità superiore del catodo. Grazie a questa termocoppia è possibile ottenere informazioni sulle vicissitudini termiche di questo elettrodo. Un'ultima termocoppia è posta nell'ambiente per avere a disposizione anche quest'ultimo dato termico.
Per l'alimentazione elettrica della cella è stato utilizzato un variac connesso ad un alimentatore in corrente continua in grado di erogare una tensione variabile da 0 a 300 volt con possibilità di fornire anche correnti di spunto di 6 A. Il sistema computerizzato registra costantemente tutte le grandezze campionandole diverse volte al secondo. Quindi mentre l'operatore regola il variac modificando il valore della tensione applicata alla cella, il sistema registra il valore di questa tensione, il valore della corrente circolante nel circuito di cella e tutti gli altri trasduttori presenti. In questo modo il sistema procede al calcolo delle calorie introdotte e di quelle via via misurate grazie ai sensori termici.
La figura qui a fianco mostra, come esempio, quattro grafici relativi ad un'acquisizione effettuata nel mese di novembre 2003. Il primo grafico mostra l'andamento della tensione regolata manualmente tramite il variac. Le variazioni riportate, sono state praticate volutamente per attivare il fenomeno di elettroplasma per tre volte durante i 1200 secondi della durata totale della prova. E' possibile vedere anche l'andamento della corrente e della temperatura della soluzione. Confrontando i grafici di tensione con quelli ottenuti in risposta dal radiometro è possibile determinare la condizione di innesco riportata tramite una freccia rossa. In questo specifico caso l'innesco dello stato di plasma si è verificato ad un potenziale vicino ai 143-150 volt.
Sia nel report originario di Mizuno/Ohmori che nell'articolo in rete di Naudin si legge che la soluzione di K2CO3 deve essere preriscaldata ad una temperatura di 70 °C. Questa consuetudine operativa serve per guadagnare tempo e raggiungere immediatamente la condizione di innesco che per ragioni teoriche che più avanti vedremo, avviene proprio ad una temperatura superiore a 70 °C.
Quindi, per condurre l'esperimento è necessario porre il variac a zero volt e procedere lentamente fino al di sotto del punto di innesco senza oltrepassarlo. A questo punto esaminando i valori via via riportati dal computer è possibile determinare una linea di base e calcolare le perdite calorimetriche in questa condizione. Consiglio uno scan non superiore ad un centinaio di secondi a circa 120 V di cella. Una volta modificate le costanti nel programma si potrà procedere per la prova vera e propria raggiungendo il punto di innesco e misurando quindi, livelli di energia termica sensibilmente maggiori delle aspettative.
È sembrato ovvio agli studiosi che la misura calorimetrica risulta essere estremamente indicativa poiché affetta da un numero molto elevato di errori. Le indicazioni calorimetriche devono essere necessariamente interpolate attraverso i calcoli che tengono conto del calore latente di evaporazione dell'acqua e quindi dell'esatta misura della quantità di acqua evaporata. Le prove calorimetriche devono essere di breve durata, per ridurre l'errore prodotto dalla variazione della capacità termica del calorimetro a opera dell'acqua che evapora. Molto importante deve essere anche il dosaggio della depressione creata dall'aspiratore dei fumi che non deve in qualche modo modificare la pressione sulla cella per evitare che varino i parametri calcolati a pressione atmosferica.
Gli studiosi dell'ENEA conclusero il loro lavoro nel aprile 2002 e avvisarono immediatamente il professor Rubbia del conseguimento degli obiettivi preposti
Rubbia, dopo un po' di tempo, fece pressioni per incontrare il gruppo di ricercatori di Frascati.
Il premio nobel, in tale incontro, esaminò i risultati dell'esperimento e si congratulò con i ricercatori per il lavoro svolto. Rubbia infine, secondo ciò che raccontano gli studiosi di Frascati, in tale occasione fu prodigo di consigli per il rapporto finale a cui collaborò egli stesso disegnando personalmente il grafico che pone in relazione gli atomi di elio con la produzione di calore.
Dopo l'entusiasmo dei primi giorni cambia tutto:
le riviste non pubblicano i risultati di questa ricerca con differenti motivazioni, Rubbia diventa irreperibile.
Il gruppo di ricercatori di Frascati, infatti, dopo i primi contatti, non è più riuscita a parlare con Rubbia.
Nell'autunno del 2002, il gruppo di Frascati, sempre nel tentativo di rintracciare il premio nobel, gioca l'ultima carta: invia, all'ex presidente dell'ENEA, il progetto per la continuazione degli esperimenti sulla fusione fredda.
Il gruppo di ricercatori, però, a tutt'oggi, non ha ancora ricevuto risposta a tale richiesta.
L'emittente televisiva "RAI News 24" ha tentato di chiedere, al professore Rubbia, il motivo principale di questo muro di silenzio non avendo alcuna risposta.
La relazione finale del gruppo di ricercatori di Frascati rimane confinata nel cosiddetto "Rapporto 41" del 2002.
Roberto Germano, sulla storia della fusione fredda, ha scritto un libro intitolato: "Fusione Fredda: Moderna Storia d'Inquisizione e d'Alchimia".
In questo saggio Germano racconta tutte le anomalie che riguardano la nascita della fusione fredda.
Egli afferma che c'è stata, da parte delle alte sfere dell'ENEA una chiara volontà d'insabbiare tutto.
"malgrado tutto questo", afferma ancora Germano, "ci sono state una serie di ricerche spesso di privati non solo d'accademici che hanno aperto un ventaglio enorme di diverse ricerche, diversi esperimenti" su questo fenomeno.
Ciò è stato verificato da RAI News 24 che ha potuto scovare tutta una serie di società, anche con nomi importanti, che compiono questo tipo d'esperimenti in gran segreto.
La più famosa di queste società è l'"EDF Électricité de France".
La quale, secondo un membro del gruppo di Frascati, Antonella Deninno, attraverso il "CEA", (Dipartimento dell'Energia Atomica Francese), contattò il gruppo di Frascati chiedendo, ai componenti di questo gruppo di studiosi, di tenere un seminario a Parigi riguardante i loro studi in Italia.
Dopo qualche tempo membri della CEA andarono a visitare il centro-studi di Frascati. In tale occasione, questi esperti, esaminarono i risultati sperimentali, presero appunti, disegnarono grafici, fecero fotografie e alla della giornata se ne andarono via.
I ricercatori di Frascati interpretarono, erroneamente, quest'incontro come l'inizio di una fruttuosa collaborazione; la cea, invece, aveva soltanto ricevuto, da parte dell'EDF, d'andare a studiare il lavoro compiuto dall'ENEA di Frascati e poi riferire.
La vana speranza degli esperti di Frascati, di poter collaborare con la cea, si evince da un documento interno dell'Enea del due febbraio 2004 in cui è scritto: "Il fenomeno non sembra totalmente una bufala anche se la sua applicazione nel campo della generazione di energia sembra remota" e conclude il rapporto affermando che: "la decisione relativa all'eventuale finanziamento deve considerare, accanto agli aspetti scientifici, gli aspetti d'immagine".
Il significato di quest'ultima frase in sostanza è che le alte sfere dell'ENEA e, quindi, dell'ENEL non hanno voluto entrare in un eventuale progetto di sviluppo di questa tecnologia per il timore di perdere la faccia.
L'edf, grazie alle informazioni acquisite, al centro ricerche dell'ENEA, riesce, in gran segreto, a costruire un proprio impianto per lo sviluppo della fusione fredda nei pressi di Parigi.
L'ENEA, invece, proprio per le sue cosiddette paure, non spese neppure un euro per questo tipo di ricerca nel 2002.
Alcuni studiosi considerano, tutto ciò, come un grave errore, poiché come affermano, con un grammo di palladio e con un litro d'"Acqua Pesante" si riuscirebbe a produrre decine di Kilowatt anche per secoli.
Gli studiosi di Caserta, sopra evidenziati, Domenico Cirillo e Vincenzo Iorio, sono tuttora impegnati in un loro personale progetto d'analisi delle potenzialità della fusione fredda.
I due fisici casertani, annunciarono pubblicamente, i loro studi era il pomeriggio del 18 aprile del 2004 a Grottammare calda cittadina della riviera delle Marche, in provincia di Ascoli Piceno, nella sala Kursall, di un centro di ricerche.
I due studiosi furono dall'associazione "O.N.N.E. (Osservatorio Nazionale delle Nuove Energie)". L'esperimento casertano fu battezzato, in un secondo momento, "Trasmutazione Fredda".
L'esperimento, di Cirillo e di Iorio, com'è stato, precedemente, rilevato, da un punto di vista generale, è né più e ne meno, una replica del test scientifico contotto da Thadahiko Mizuno.
Gli esperti casertani, però, dal punto di vista pratico, invece, hanno approfondito in maniera diversa il fenomeno è hanno studiato alcune varianti che hanno contribuito a rendere la cella italiana sostanzialmente diversa da quella giapponese. Inoltre, sono risultate fondamentali alcune analisi che hanno permesso di elaborare una teoria completa e originale. La teoria è stata concepita interamente dai due ricercatori di Caserta ed è confrontabile attualmente con le suggestive interpretazioni della teoria matematica di Widom e Larsen.
Uno dei fenomeni più affascinanti della cella elettrolitica di Caserta e che al suo interno, e precisamente sul catodo avvengono delle trasmutazioni. Se uno di voi legge il libro di Roberto Germano sulla Fusione Fredda (Editore Bibliopolis) si accorge che in diversi esperimenti in ambito internazionale sono state individuate trasmutazioni. Lo stesso Tadahiko Mizuno del Hokkaido University in Giappone parla di trasmutazioni a carico della cella elettrolitica da lui realizzata e d'altro canto, fu proprio quest'ultima ad ispirare i ricercatori Italiani nel loro esperimento.
Il gruppo di Caserta, ha potuto creare, con mezzi assulutamente rudimentali, (un "contenitore a spruzzo creato modificando un contenitore per CD-Rom e spendendo pochissimi euro), un modello operativo che spiega abbastanza bene i risultati delle analisi chimiche del catodo in relazione alle trasmutazioni che vi si producono. Il catodo e' fatto di tungsteno puro al 99,95% le impurezze contenute all'interno comprendono comunque in massima parte elementi come il Molibdeno, il piombo e il silicio con valori inferiori ai 50 ppm poi c'e' il calcio, il rame e il ferro, questi ultimi in quantita' inferiore a 20 ppm (0,002 %). Durante la fase di plasma ed in precise condizioni operative ancora oggi allo studio del gruppo di Caserta, su alcune porzioni del catodo si verifica qualcosa di curioso. Successivamente ad una intensa e relativamente lunga esposizione ad un plasma elettrolitico (durate tipiche possono variare da 500 secondi fino a 5000 secondi), Il microscopio Elettronico a Raggi X (S.E.M.) mostra la presenza sulla superficie del catodo di elementi come il Renio, l'Osmio L'Oro e poi l'Itterbio, il Tulio e in qualche caso anche l'Erbio. Cosa sta succedendo ?. Premettiamo che, la soluzione elettrolitica che costituisce la cella e' composta da acqua bidistillata ultrapura dotata di certificato di analisi. In quest'acqua sono completamente assenti gli elementi che abbiamo nominato. Lo stesso dicasi per i sali di potassio adoperati che non contengono affatto questo tipo di impurita'. Il S.E.M. invece, mostra picchi consistenti di queste sostanze che fanno pensare a concentrazioni localizzate di oltre 10.000 ppm (1 %) . Vedi la sezione "risultati analitici". Va anche segnalato che non sempre, sottoponendo ad analisi un catodo che ha subito anche svariate migliaia di secondi di plasma, e' possibile rilevare questi curiosi elementi. Quest'ultimo punto e' di fondamentale importanza per invalidare la tesi, gia' essa stessa altamente improbabile, di arricchimento superficiale del catodo a causa della concentrazione di elementi presenti in tracce nell'elettrolita. La presenza delle trasmutazioni sembra legata a precisi parametri anche geometrici della cella. Inoltre, cosa importante, gli elementi che si presentano sono sempre gli stessi, c'e' il Renio (successivo in ordine atomico al tungsteno) poi c'e' l'Osmio , qualche volta l'Oro, quasi sempre poi, appaiono gli elementi che precedeno l'ordine atomico del tungsteno come il tulio e l'itterbio ma qualche volta si e' presentato anche l'Hafnio. Tutti elementi che hanno un numero atomico molto vicino a quello del Tungsteno (74) bianco, grigiastro, lucente.
Grazie a tutto questo lavoro, i due Casertani sono stati invitati all'inizio di novembre del 2004 a prendere parte alla manifestazione ICCF11 tenutasi a Marsiglia. In questa manifestazione i due ricercatori hanno illustrato ai convenuti il loro esperimento e la loro teoria base.
Il loro lavoro, nonostante tutto ciò, rimane, ancora oggi, pressoché sconosciuto alla gente comune.
Il 20 ottobre 2004 il ministero delle attività produttive convoca, nella sede di Via Molise, i fisici Antonella Deninno e Antonio Frattolillo, insieme al direttore dell'"Unità Tecnico scientifica- fusione- del centro ricerche dell'ENEA di Frascati", Samuelli. L'incaricato del ministero, d'occuparsi della facenda, è Salvatore Della Corte.
Nell'intervista concessa a "RAI News 24", Della Corte afferma d'aver saputo della fusione fredda soltanto consultanto alcuni articoli apparsi sul sito internet dell'ENEA. In tale occasione Salvatore Della Corte propone all' ENEA di finanziare un progetto sulla fusione fredda.
Samuelli, da prima cerca di dirottare i fondi proposti dal Ministero su un altro progetto ma alla fine obbligato dalle insistenze di Della Corte è costretto ad accettare la proposta del Ministero.
Samuelli però affida questo progetto ad un'altra squadra di esperti che collaborerà con americani e israeliani guidati dal Dott.Vittorio Violante. La nuova squadra di esperti ha a disposizione un finanziamento di ottocentomila euro per due anni.
Violante afferma che il suo progetto di ricerca ha degli ottimi risultati con la riproducibilità che si aggira intorno al 50% e con guadagni del 50% e afferma infine che per arrivare ad un risultato definitivo e concreto occorreranno anni.
In ultima analisi dobbiamo chiederci che se il ministero delle attività produttive e per lo sviluppo economico non avesse deciso di finanziare il nuovo progetto sulla fusione fredda, l'ENEA avrebbe, lei stessa stanziato dei soldi per questo tipo di progetto?
Rimane il fatto che il progetto del 1999 guidato dalla Dott.sa De Ninno e dal Dott. Frattolillo, è stato completamente accantonato e che la somma di un miliardo e centocinquanta milioni sono stati soldi spesi invano. Tutto ciò perché, a detta della dott.sa De Ninno, "Nessuno si è preso la briga di capire cosa avevamo fatto".
I progetti sulla fusione fredda di tutti gli anni dimostrano, senza alcun dubbio, quindi, la validità dell'idea e il fondamento scientifico sulla teoria della fusione fredda.
Se tutto questo è vero allora perché l' establishment politico dei governi mondiali non si attivano finanziariamente, e alla luce del sole, per questa nuova tipologia di progetto che darebbe energia pulita anche per secoli?
Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Fusione_fredda
http://video.google.it/videoplay?docid=-3443704236322577743
http://www.progettomeg.it/rapportoff.htm
Intoduzione dell'Enea rapporto 41 a cura di Emilio Del Giudice
http://www.progettomeg.it/rapportoff.htm
http://video.google.it/videoplay?docid=-3443704236322577743
http://www.ioriocirillo.com/main.asp?idsottosezione=&idsezione=3
http://www.ioriocirillo.com/main.asp?idsottosezione=2&idsezione=4
http://it.wikipedia.org/wiki/Tungsteno
Rapporto 41 sulla fusione fredda Rainews 24 Google
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