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Federico Caffè come Ettore Majorana: due misteriose scomparse
a cura di Alberto Rossignoli
Dall’alba del 15 aprile 1987 si perdono le tracce di Federico Caffè, di cui il Tribunale di Roma, il 30 ottobre 1998, ha dichiarato la morte presunta.
Caffè era un importante economista, uno di quegli intellettuali che molto hanno dato alla loro materia, spesso all’interno dell’università, ma anche per la specificità delle loro competenze sono conosciuti soprattutto dagli addetti ai lavori e operano al di fuori dei grandi circuiti mass-mediatici e dei talk-shows.
Nato a Pescara nel 1914, Federico Caffè si era laureato in Scienze economiche e aveva intrapreso la propria carriera di studiosi all’interno dell’Università di Roma, prima come assistente e poi come docente di Politica economica e finanziaria; era passato definitivamente alla Sapienza dopo una breve parentesi a Messina e a Bologna. Accanto alla prestigiosa e lunga carriera universitaria va posta anche quella politica, che gli permise di raggiungere alti livelli nel mondo economico-finanziario italiano. Per un breve periodo fu a capo del Gabinetto del ministro della Ricostruzione Meuccio Ruini nel governo Parri; ebbe rilevanti incarichi presso il Servizio Studi della Banca d’Italia, dove fu assunto fino alla sua nomina come docente universitario.
In quell’alba del 15 aprile 1987 era uscito dalla sua casa in via Cadlolo, al numero civico 42, in zona Monte Mario, a Roma; non aveva lasciato alcuna comunicazione che potesse servire da traccia. Sul tavolo l’orologio, il passaporto, il libretto degli assegni, il portafoglio, le chiavi di casa e gli occhiali.
È stato ipotizzato che Caffè abbia deciso di ritirarsi in un luogo lontano, forse in un convento, come si crede abbia fatto Majorana. Non va comunque esclusa l’ipotesi del suicidio, poiché in quel periodo era vittima di una forte crisi depressiva.
Effettivamente, negli ultimi anni era stato messo a dura prova.
Prima la morte della madre, poi quella della governante, la quale aveva cresciuto lui e il fratello Alfonso, anch’egli celibe, e con il quale viveva; pesante da superare fu anche l’uccisione del collega Enzo Tarantelli, assassinato dalle Br nel 1985; altre morti che lo segnarono in profondità furono quelle del collega Franco Vicarelli, perito in un incidente d’auto, e quella di Franco Franciosi, studente a cui era molto legato e che considerava un promettente economista.
Il colpo di grazia gli venne inferto dall’abbandono della cattedra per motivi di età.
Se decise di interrompere con tutto e con tutti, togliendosi la vita, quasi certamente portò a termine l’estremo gesto con la complicità di qualcuno. Infatti, negli ultimi mesi di vita, il docente era particolarmente debilitato perché non mangiava da alcuni giorni, chiuso nella morsa di dolore che lo stringeva inesorabilmente.
Chi avrebbe potuto aiutarlo a compiere un simile gesto?
Significativamente, quattro giorni prima della sua scomparsa, Caffè aveva avuto parole di disapprovazione riguardo alla modalità con cui Primo Levi aveva scelto di togliersi la vita.
Caffè era un uomo amato per la sua attenzione al ruolo etico della finanza, sosteneva la necessità di difendere la giustizia e la «gente comune che produce e risparmia» e deprecava il precariato, che svantaggiava i giovani.
E poi aggiungeva che il «compito dell’intellettuale è quello di rimanere fedele al dubbio sistematico come appropriato antidoto alla riaffermazione intransigente di cui spesso si finisce di essere prigionieri».
Qualche segno premonitore della scomparsa ci fu: intanto l’atteggiamento sempre più appartato e chiuso, come conseguenza della mancanza di capacità di vivere un’esistenza da pensionato a cui faceva una gran fatica ad abituarsi. I rapporti col fratello Alfonso, docente di Lettere in pensione, erano buoni. Ed è sul conto bancario del fratello che Federico Caffè riversò il proprio conto. Per lui, uomo abituato a studiare le grandi manovre dell’economia nazionale, quell’operazione gli sarà sembrata banale, ma necessaria. Purtroppo il fratello si accorse del fatto solo dopo la scomparsa di Federico.
Poi ci sono quegli oggetti indispensabili lasciati sul tavolo, in ordine, con la certezza che non sarebbero più stati utilizzati dal legittimo proprietario.
Al contempo costituivano un messaggio forte e chiaro per chi li trovò: un’indicazione concreta sulla volontà del proprietario di andare in un luogo in cui quelle cosa non gli sarebbero più servite.
Molto forti sono le analogie con il caso del noto (e insigne) fisico Ettore Majorana, scomparso nel 1983, del quale molto è stato scritto e detto.
La sera di quel 25 marzo, Majorana si era imbarcato sul traghetto che da Napoli era diretto a Palermo, lasciando due lettere in cui annunciava la sua scomparsa. Tuttavia, giunto a Palermo, scrisse un’altra lettera nella quale chiedeva di non considerare quanto detto nelle precedenti missive e annunciava il proprio rientro a Napoli per il giorno seguente, cosa che probabilmente non avvenne. Da allora non si hanno più sue tracce.
Da Sciascia a Recami, molti ricercatori e scrittori si sono occupati del caso Majorana, tutti avanzando ipotesi senza nulla avere di certo tra le mani.
Veniamo agli indizi.
I più importanti, oltre che concreti, sono le lettere scritte da Majorana quel 25 marzo 1938.
La prima era diretta ad Antonio Carrelli, direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli, lettera nella quale Majorana allude ad una decisione inevitabile che avrebbe preso, la seconda era diretta a i familiari, e li esorta a non portare il lutto per più di tre giorni, se proprio avessero voluto portare il lutto, e che lo ricordassero e lo perdonassero, se era possibile…
Prima ancora che Carrelli ricevesse la lettera, gli fu recapitato un telegramma, nel quale Majorana annunciava di aver cambiato idea: però il giorno dopo non giunse a Napoli o, se vi giunse, scomparve subito dopo la sua discesa sul molo. Si sa che aveva prenotato una cuccetta sul postale che avrebbe dovuto riportarlo nella città partenopea.
Prima di cercare di abbozzare qualche ipotesi sulla sua scomparsa, ripercorriamo i tratti salienti della sua vita.
Nato a Catania nel 1906, Ettore Majorana era descritto come un personaggio taciturno e chiuso, oltre che eccentrico: abituato ad appuntare formule su pacchetti di sigarette mentre era sul tram, o camminava per strada.
Da quanto ci è dato sapere, la sua breve vita fu addolcita da poche amicizie, quasi certamente non vi furono amori che lo allontanassero dalla creativa solitudine in cui aveva scelto di chiudersi.
Passato dagli studi di ingegneria a quelli di fisica, Ettore era capace (sin dalla tenera età) di calcolare a mente operazioni aritmetiche complesse; queste sue peculiarità lo fecero apprezzare da Enrico Fermi e da altri docenti e studenti del Regio Istituto di Fisica di Roma, in via Panisperna.
Con Majorana c’erano Rasetti, Amaldi, Segrè, Pontecorvo e altri. In quel periodo, però, non veniva descritto come chiuso e taciturno, bensì come critico, pungente, goliardico, allegro, nonché molto colto anche in ambito filosofico-letterario.
Qualcosa cambiò dopo il 1933, quando Ettore rientrò in Italia dopo un periodo di studio in Germania. Non è da escludersi che sia stato vittima di una qualche forma di depressione e non va esclusa la possibilità che Majorana soffrisse per motivi personali (fra cui la morte in culla di un cuginetto di Ettore e il conseguente processo che vide coinvolto lo zio del piccino e di Ettore: lo scienziato avrebbe lavorato duramente per questo processo), aggravati dalle peculiarità del suo carattere.
A Napoli, Majorana conduceva una vita molto ritirata e nei mesi precedenti la scomparsa chi gli era più vicino ne percepiva il malessere. Fu soprattutto per cercare di ridurre le sue sofferenze che alcuni amici gli consigliarono di prendersi un periodo di vacanza. Prima di partire, consegnò ad una stretta collaboratrice un dossier con una serie di appunti: di questo materiale non si ebbe più notizia, Chi l’ebbe in affidamento disse che si trovava all’Istituto di Fisica di Napoli, ma della suddetta documentazione si sono perse le tracce…
Si sa che Majorana, prima di salpare per Palermo, prelevò una consistente somma di denaro costituita da alcuni stipendi arretrati e da altro liquido, per un totale che è stato stimato intorno ai duemila euro: abbastanza anomalo per uno che vuole suicidarsi, no?
Fino ad oggi sono state formulate alcune ipotesi sulla scomparsa di Ettore Majorana:
suicidio
volontario ritiro in convento
rapimento da parte di forze straniere
volontario espatrio in Germania per lavorare con gli scienziati nazisti
fuga in un Paese lontano
Riguardo al suicidio, ci sarebbero dei dubbi, tanto più che vi sarebbero testimoni sicuri di averlo visto a Napoli nei primi giorni di aprile 1938.
Riguardo al ritiro in convento, in risposta alla rubrica Chi l’ha visto de La Domenica del Corriere, giunse la risposta del Superiore della chiesa Gesù Nuovo di Napoli, il quale disse che negli ultimi giorni di marzo gli si presentò un giovane che aveva una stretta somiglianza con l’uomo della fotografia diffusa dall’omonima rubrica (l’uomo della fotografia era, ovviamente, il Majorana): costui chiese di essere accolto per provare la vita monastica. Il religioso, un po’ stupito dallo stato di agitazione che caratterizzava il giovane, lo invitò a ritornare, cosa che non avvenne.
Poi, per quanto concerne il passaggio a potenze straniere, siamo a livello di ipotesi suggestive e un po’ romanzesche.
Sembra compatibile che lo scienziato italiano si trasferì in Sudamerica senza cambiare nome: numerosi testimoni hanno affermato, nel giro di alcuni decenni, di averlo incontrato e conosciuto, ma nessuna delle persone che avrebbero fornito indicazioni precise è stata poi in grado di apportare tasselli determinanti per permettere di avvicinarsi concretamente allo scienziato.
Qualunque sia il motivo che può aver spinto Majorana a sparire, vi dovrebbe comunque essere un motivo posto alla base di tale decisione… Qualcosa connessa con il nucleare? Che avrebbe terrorizzato lo scienziato, spingendolo a sparire dalla circolazione? Conflitto interiore tra etica e scienza? Chi dice che non possa essere plausibile?
Ogni giorno, in Italia, spariscono diverse persone, molte persone…
Ma sparire è così facile come (certi) dicono?
Di certo con l’avvento di Internet le opportunità si sono moltiplicate, anche perché è possibile reperire falsi documenti e quanto necessario per cambiare identità (o rubarla…) e iniziare una nuova vita parallela. Se ci serviamo delle indicazioni fornite dalle agenzie investigative, è possibile constatare che, nella maggioranza dei casi, la fuga è determinata da motivazioni di carattere familiare, ma hanno anche un ruolo importante problemi di natura finanziaria e legale.
Certo, la fuga va preparata con cura anche se, spesso gli ostacoli più difficili li pone proprio il fuggiasco. I nuovi documenti non sono ormai un problema, anche con l’aiuto di Internet: il mercato clandestino offre ormai ogni tipo di servizio, infrangendo la legge, naturalmente. C’è anche chi riesce a fare il furbo pur restando nella legalità e attraverso tutta una serie di cambi di residenza fa perdere le proprie tracce, risultando, anagraficamente, senza dimora.
C’è qualche segno premonitore che possa aiutarci a comprendere se una persona a noi vicina intenda sparire?
Senza dubbio, come si è visto, occorre monitorare il suo conto corrente; inoltre, anche la volontà costante di eliminare ogni tipo di tessera magnetica, il cellulare e altri strumenti che possano lasciare tracce virtuali, costituisce una prova importante.
In genere, chi cerca di sparire sceglie un luogo dove può spassarsela, un luogo in cui il denaro può aprire molte strade e aiutare a mantenere l’anonimato, un luogo dove può confondersi tra la gente…Lontane città, il più delle volte, ma non sempre: pare che Nizza sia un rifugio piuttosto frequentato.
Poi ci sono da annoverare anche i cosiddetti “paradisi fiscali”.
Come accennato, i problemi più grandi li pone, paradossalmente, proprio il fuggitivo: rischia sempre di tradirsi, di rivelare dove sia nascosto, perché magari non sa rinunciare alle sue passioni; e poi c’è il carattere: quello non muta, in genere, radicalmente.
Ci sono poi fenomeni di diverso tipo, ad esempio l’impossibilità di “ritrovarsi” di chi vuole ritornare ad essere ciò che era, il non riuscire a recuperare la propria identità e il ritrovarsi esule ed estraneo in mezzo ai propri simili, che non lo riconoscono più.
Fonti:
Massimo Centini, Misteri d’Italia, Newton Compton Editori, Roma, settembre 2006
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