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Le epidemie nella storia: un’introduzione
a cura di Alberto Rossignoli
In un certo senso, siamo tutti figli delle grandi epidemie del passato, perché i nostri progenitori – ossia i sopravvissuti – appartenevano tutti (o quasi) ai ceppi geneticamente più resistenti.
Ma le epidemie hanno modificato la storia umana anche in altri modi: provocando svolte politiche, brusche variazioni demografiche, in grado addirittura di far crollare imperi millenari.
Le prime pestilenze di cui si abbia notizia sono quelle descritte in testi egizi del II millennio a.C., e ci sono notizie di gravi malattie contagiose fra gli Ittiti, in Mesopotamia e in Cina. Ma la prima descritta con una certa accuratezza è la peste di Atene del 430 a.C., che infuriò nella città per più di due anni.
Proveniente forse dall’Asia, la malattia intaccò gravemente la società ateniese, socialmente ed economicamente, provocando la decadenza di quella che all’epoca era la città più potente del Mediterraneo.
Ancora oggi non sappiamo con precisione quale morbo colpì la città tanto duramente: forse il vaiolo o forse una forma di tifo esantematico o una malattia oggi scomparsa. Si sa soltanto che il morbo si manifestò improvvisamente durante un assedio e che, nonostante la dedizione dei medici, decine di migliaia di abitanti morirono per le strade, sovente abbandonati dalle proprie famiglie timorose del contagio. Ai fuochi che bruciavano cumuli di cadaveri si aggiungevano le invocazioni religiose e le musiche delle feste di chi cercava di dimenticare la malattia gettandosi nei vizi.
Senza questa crisi, la società greca si sarebbe lasciata superare così facilmente, nei secoli successivi, da quella romana?
Se l’età di Pericle fu sconvolta dal tifo o dal vaiolo, il morbo che flagellò maggiormente i secoli successivi fu la peste nera.
Indotta dal bacillo di Yersin, endemica in alcune regioni (ossia presente tra la popolazione, ma con un basso indice di diffusione) diviene talora epidemica, assumendo la forma bubbonica (letalità tra il 60 % e l’80 % dei casi) e la forma polmonare (letalità prossima al 100 %). Della sua rapida trasmissione sono responsabili le pulci o, tra gli umani, la saliva.
La peste nera, chiamata anche “orientale”, poiché il focolaio iniziale era in Asia, arrivò a Messina nel settembre del 1347 e in circa 5 anni si propagò in tutta Europa, estendendosi fino alla Russia e alla Scandinavia, alla velocità di circa 75 km al giorno, ossia 3 km/h.
Favorita dalla forte densità demografica e dalla promiscuità dei grandi centri, l’epidemia raggiunse livelli di mortalità paragonabili a quelli di una guerra atomica su scala globale. In Provenza morì tra il 50 % e il 75 % della popolazione, in Gran Bretagna il 58%, Siena passò da 100 mila a 13 mila abitanti. In 3-4 anni l’Europa perse da un terzo a metà circa della popolazione.
Le conseguenze economiche furono impressionanti: anzitutto un brusco rialzo dei salari, che costrinse molti governi ad aumentare il prelievo fiscale. Inoltre, i prezzi agricoli crollarono e il Mediterraneo cominciò a cedere il passo ai porti del Nord Europa.
La peste del ‘300 ebbe anche considerevoli effetti sulla vita sociale.
La paura del contagio e l’impotenza della medicina, che consigliava salassi e inutili purificazioni con erbe aromatiche, favorirono per esempio la fuga verso la campagna (Decameron…),o addirittura nei conventi; e, nondimeno, contribuirono allo scatenarsi delle persecuzioni contro ebrei, maghi e streghe.
Con la diminuzione della popolazione e l’aumento di elementi geneticamente refrattari, l’incidenza della peste diminuì gradualmente. La fase devastante si esaurì nel giro di 50 anni, da allora in poi la peste rimase in forma endemica in Europa, alternandosi con epidemie di vaiolo. Una nuova esplosione avvenne intorno alla prima metà del XVII secolo, durante la guerra dei Trent’anni, ossia quella descritta da Manzoni ne I promessi sposi. Questa seconda ondata di peste fu determinante nel far passare il testimone del predominio politico europeo a Francia e Gran Bretagna, lasciando un ruolo secondario alla Spagna, falcidiata dalla malattia.
Nei secoli successivi, a occupare la scena furono soprattutto le malattie intestinali, che colpivano in particolar modo in situazioni di sovraffollamento e cattive condizioni igieniche, ad esempio nelle città assediate, a volte favorendo una fazione contro l’altra.
La rivoluzione francese, ad esempio, non fu soffocata dall’esercito prussiano di Brunswick nel 1792 proprio a causa della terribile epidemia di dissenteria che aveva colpito duramente le truppe prussiane.
Tuttavia, ben più devastante fu il colera, proveniente dall’Asia, che colpì l’Occidente a partire dal XIX secolo. Comparve nell’Europa orientale, nel 1830, per poi spostarsi verso ovest. Già nel 1832 infuriava a Parigi (dove alcuni innocenti sarebbero stati linciati dalla folla perché “untori”) e ben presto giunse negli Stati Uniti.
Il suo impatto (tra i 30 e i 40 milioni di morti nel mondo) fu una delle principali cause della disgregazione dell’impero asburgico, e in generale delle grandi potenze.
Meno colpite furono invece le popolazioni di lingua slava, magiara, e soprattutto gli italiani, i quali in meno di 30 anni riuscirono a ottenere l’indipendenza dall’Austria.
Dopo la I guerra mondiale, nel biennio 1918-1919, in tutto il mondo si diffuse la “spagnola”, denominazione dovuta al fatto che si credeva che i primi casi si fossero manifestati nella penisola iberica.
Le precarie condizioni di vita, dovute alla guerra, favorirono la diffusione del morbo, una forma influenzale alquanto violenta.
In tre ondate successive, la malattia fece tra i 21 e i 22 milioni di morti, contagiando oltre un miliardo di persone, soprattutto maschi tra i 20 e i 40 anni. Il tutto con gravi ripercussioni sul piano socio-economico. In primo luogo, prevedibilmente, la caccia all’untore: negli Stai Uniti vennero addirittura fucilati medici e infermieri militari accusati di aver iniettato il morbo nei soldati americani per favorire i tedeschi. L’alta mortalità rallentò inoltre le comunicazioni e le città rimasero sempre più isolate e abbandonate alle loro scarse risorse, dato che l’agricoltura quasi si fermò.
Fortunatamente la spagnola scomparve nel giro di tre anni.
Anche altri bacilli meritano la nostra attenzione.
A cominciare dal tifo, che decimò la Grande Armata napoleonica prima ancora che arrivasse a Mosca. La stessa malattia sterminò gli eserciti nel periodo della I guerra mondiale (tra il 1917 e il 1921 si contarono 25 milioni di infetti e 3 milioni di morti); e gli eserciti rivoluzionari russi furono tanto falcidiati dalle febbri tifoidi che Lenin bollò come “anticomunisti” (!) i pidocchi che le trasmettevano.
I Conquistadores, aiutati dal vaiolo, morbillo, tifo e influenza, trasformarono la conquista delle Americhe in un genocidio di proporzioni difficilmente calcolabili.
Già nel 1518 il vaiolo aveva fatto strage nell’odierna Haiti, nel 1520 aveva cominciato a colpire il Messico. Ma il suo effetto fu particolarmente grave sul morale degli Aztechi i quali, vedendo che gli spagnoli sopravvivevano alla malattia, si convinsero che erano protetti dagli dei e rinunciarono a ogni forma di resistenza.
Prima dell’arrivo degli europei, il Messico era abitato da circa 30 milioni di persone. Nel 1568 ne erano rimaste 3 milioni, nel 1620 1 milione e 600 mila.
Ma anche l’America donò una malattia: la sifilide, infezione sessuale che si diffuse ampiamente in Europa dagli inizi del XVI secolo, pur non portando con sé devastazioni analoghe a quelle del vaiolo nel Nuovo Mondo. Da notare che la responsabilità per un’infezione tende sempre ad essere addossata ai Stati e ai popoli vicini…
Fonti:
Focus 4/2002; Riccardo Tonani, Siamo figli delle epidemie
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