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Una città sommersa nell’Adriatico?
a cura di Alberto Rossignoli
Il braccio di una statua, un capitello, uno stemma gentilizio: tra le increspature del mare, confuse tra sassi quasi dello stesso colore, si trovano pietre che sembrano in tutto e per tutto dei resti archeologici: è ciò che rimane di un’antica città oggi sott’acqua?
Qualcuno l’ha prontamente chiamata “l’Atlantide adriatica”.
Il luogo del mistero è il litorale davanti al promontorio di Gabicce Monte, poco distante da Cattolica, al confine tra Romagna e Marche. Qui, da secoli, pescatori e turisti saccheggiano la battigia alla ricerca di sassi che sembrano parti di statue; e c’è chi giura di aver visto, effettuando ivi un’immersione, i resti di strade e di torri oggi sommersi.
In realtà, sin dal Cinquecento, nella vicinissima Cattolica si tramanda la leggenda dell’antica città sommersa di Conca, detta appunto “città profondata” (così scrivevano gli storici dell’epoca), per tre secoli disegnata sulle mappe della costa romagnola e sita proprio al largo di Cattolica. Leggenda alimentata ancora oggi in gran parte proprio dai sassi a forma di statua, che si trovano però circa 2,5 km più a sud del luogo in cui, secondo la tradizione, sarebbe sorta la città.
A detta di Paolo Colantoni, geologo marino e docente di Sedimentologia all’Università di Urbino, in realtà, nel punto segnato dalle carte non poteva trovarsi alcun insediamento umano, poiché in epoca storica, ma anche prima, davanti all’odierna Cattolica vi era già il mare; e in tutti questi secoli la costa non ha fatto altro che avanzare. Una eventuale città perduta romana o bizantina si troverebbe quindi oggi nell’entroterra, non potrebbe in alcun caso essere sprofondata e poi ricoperta dalle onde.
La leggenda della città di Conca, infatti, sarebbe probabilmente nata da un errore di trascrizione e da un successivo errore interpretativo compiuto dagli storici tra Medioevo e Rinascimento (nello specifico, un commento anonimo del XVIII canto dell’Inferno dantesco).
Come asserisce Maria Lucia De Nicolò, storica dell’università di Bologna, non per questo alcune testimonianze di antichi viaggiatori che affermano di aver visto resti di mura o torri sommerse sono inattendibili: Raffaele Adimari, nel 1610, riferisce di essere andato in barca assieme a pescatori di ostriche che, coi pregiati molluschi, trassero dall’acqua un “quadrello” di una torre, ossia una pietra sagomata in modo inconfondibile e utilizzata nelle fortificazioni. Adimari, a detta della dottoressa De Nicolò, sarebbe attendibile, ma quello che dice di aver visto sono probabilmente i resti di strutture portuali del Quattrocento o del Cinquecento attualmente sommerse che forse si trovano nella zona detta “Punta della valle”, l’unico tratto del litorale di Cattolica che,anziché avanzare, negli ultimi secoli ha lasciato spazio al mare.
Ma questa spiegazione non è sufficiente per coloro che credono nella leggenda..
Tanto che si cerca, a poca distanza, un’altra possibile città sommersa da mare. Qualche chilometro più a sud, infatti, in corrispondenza con una piccola valle, la Vallugola, poco distante da Gabicce Monte, alcune fonti settecentesche collocano una città, Valbruna, di cui oggi non vi è più traccia. Anch’essa sarebbe dunque sprofondata in mare. Ed è proprio nella zona di Vallugola che si troverebbe la maggior parte delle pietre dall’aspetto di reperti archeologici. Sul promontorio di Gabicce è stato trovato anche un cippo dedicato a Giove Sereno, protettore della navigazione: è forse ciò che rimane di un tempio?
Secondo il professor Colantoni, nella suddetta area, il mare erode continuamente la costa. In epoca romana, la linea di riva si trovava 500 metri al largo e il livello medio dell’Adriatico era di 2 metri più basso. Si tratta di una falesia, ossia una costa alta e rocciosa, continuamente fatta crollare dall’erosione delle acque marine.
I frequenti crolli del promontorio, eroso dal mare nel corso dei secoli, da una parte alimentano la leggenda di una città perduta che si troverebbe proprio in quel punto (un insediamento romano o posteriore potrebbe quindi essere franato nell’Adriatico) ma dall’altra inducono i geologi a spiegare le osservazioni di pescatori e turisti con argomentazioni scientifiche.
Come racconta lo stesso Colantoni, lui stesso si era immerso più volte in quelle acque e, a suo dire, quello che si vede sarebbero solo testate di strato, ossia resti di rocce più resistenti all’erosione e praticamente verticali che possono sembrare muri che fiancheggiano strade, tutte diritte e parallele.
Quanto ai cogoli, ossia i blocchi di arenaria dalle stravaganti forme spesso scambiati per capitelli o colonne, trattasi di formazioni naturali, che si aggregano per scambi chimici durante la cementazione delle rocce, come fossero noduli all’interno di strati sabbiosi.
Quando il promontorio frana, questi blocchi, più compatti e pesanti, rimangono ai suoi piedi, mentre le ghiaie fini e le sabbie vengono portate dalle correnti verso nord e fanno crescere il litorale di Cattolica.
Per cui, non vi sarebbe traccia della fantomatica Valbruna.
A detta della dottoressa De Nicolò, la leggenda della città sommersa potrebbe comunque avere un fondamento di verità, benché, a suo dire, non sia mai esistita una vera e propria città sommersa.
Un viaggiatore veneziano, Bernardino Fontana, che probabilmente non conosceva altri resoconti su Conca, nel 1550 ha lasciato scritto una frase sibillina: “ La Cattolica è un passo, e fu già gran loco… ma inghiottita dalla terra e sommersa d’acqua che occultamente gli era di sotto, hora è niente”. Parla quindi di un “centro importante” presso Cattolica sommerso da acque che potrebbero essere acque fluviali o di falda.
Come aggiunge la storica, non sarebbe da escludere che un luogo attraversato da 5 corsi d’acqua, come del resto è la piana di Cattolica, in epoca altomedievale o romana siano avvenute alluvioni e, in generale, sconvolgimenti tali da seppellire un insediamento abbastanza importante, anche se non una vera e propria città. Questa è solamente un’ipotesi, dato che non ci sono reperti archeologici a supporto di essa.
Resta però un fatto: fino al 400 d.C. il territorio di Cattolica aveva una grande importanza: era un porto per il commercio del vino, c’erano alberghi in grado di ospitare personaggi illustri e via dicendo. Poi, benché il territorio non sia mai stato del tutto abbandonato, per molti secoli non è più stato un centro importante, fino al 1271, anno della fondazione di Cattolica.
La città perduta, dunque, sarebbe da cercare sottoterra e non in mare.
E i sassi dalle forme “di statua”?
Ai sostenitori della leggenda resta comunque un appiglio: fin dalle epoche antiche i cogoli furono usati come materiali da costruzione. I sassi “strani” trovati dai pescatori sarebbero quindi pietre che somigliano a capitelli, o capitelli che erosi dal mare sono tornati a somigliare a pietre?
Il mistero permane.
Fonti:
Focus, 2/2005; Enrico Cappelletti - Raffaella Procenzano, L’atlantide dell’Adriatico
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