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A proposito dei bronzi di Riace
a cura di Alberto Rossignoli
Le più varie ipotesi su quali fossero i personaggi reali cui erano ispirati i bronzi di Riace sono fiorite fin dal 1972, quando il giovane subacqueo Stefano Mariottini ritrovò le due statue al largo di Marina di Riace. Ora l’enigma ha trovato una risposta convincente grazie agli studi di Paolo Moreno, docente di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana all’università di Roma Tre.
Il bronzo A, detto “il giovane”, potrebbe rappresentare Tideo, un feroce eroe proveniente dall’Etolia, figlio del dio Ares (o del re Eneo) e protetto di Atena.
Il bronzo B, detto “il vecchio”, raffigurerebbe invece Anfiarao, un profeta guerriero.
Entrambi parteciparono alla mitica spedizione della città di Argo contro Tebe, e Anfiarao aveva persino profetizzato la sua morte sotto le mura di Tebe e la disastrosa conclusione della spedizione.
Oltre ad aver identificato i due personaggi, il professor Moreno ha individuato gli artefici delle statue e trovato l’originale collocazione dei due pezzi.
Come spiega il ricercatore, analizzando la terra estratta dalle statue, si è scoperto che quella del bronzo B proveniva dall’Atene di 2500 anni fa, mentre quella del bronzo A apparteneva alla pianura ove sorgeva la città di Argo, più o meno nello stesso periodo.
Soprattutto, si è scoperto che le statue furono fabbricate col metodo della fusione diretta, poco usato, perché non consentiva errori: quando si versava il bronzo fuso, infatti, il modello originale era perduto per sempre.
La provenienza geografica e la tecnica usata hanno convinto il professor Moreno che l’autore di Tideo fosse Agelada, uno scultore di Argo che, a metà del V secolo a.C., lavorava nel santuario greco di Delfi e nel Peloponneso.
Quando ad Anfiarao, i risultati dell’analisi hanno confermato l’ipotesi dell’archeologo greco Geòrghios Dontàs: a scolpirlo fu Alcamene, nato sull’isola di Lemno, che, pare, avesse ricevuto la cittadinanza ateniese per i suoi meriti di artista.
Ai risultati della ricerca, il professor Moreno ha unito lo studio di documenti storici. Come quelli lasciati dal greco Pausania, che aveva redatto tra il 160 e il 177 d.C. una vera e propria guida turistica dei luoghi e dei monumenti della Grecia. In particolare, Pausania scrisse di aver visto nella piazza principale di Argo un monumento ai “Sette a Tebe”, gli eroi che fallirono nell’impresa di conquistare la città, e ai loro figli (gli Epigoni) che li riscattarono ripetendo l’impresa con successo: un parallelismo inquietante…
Da un’attenta analisi delle statue sono venute alla luce alcune curiosità.
Ad esempio, le statue erano abbellite da elementi cromatici.
L’espressione di Tideo sembrerebbe sorridente ma…in realtà si tratta di un ghigno bestiale, simbolo della ferocia del guerriero capace di divorare il cervello del nemico tebano Melanippo: un orrendo atto di antropofagia che costò all’eroe l’immortalità promessagli da Atena.
E che dire dell’espressione angosciata dell’altro bronzo?
Anfiarao, il guerriero-profeta, tradito dalla moglie Erifile, era stato costretto a partire per la guerra pur conoscendo quale sarebbe stata la (tragica) conclusione della spedizione e la propria morte.
Un’altra traccia seguita dal professor Moreno è stata la descrizione, da parte di Pausania, di una copia del monumento di Argo edificata a Delfi, dalla quale ha potuto dedurre che le statue poggiavano su un semplice podio semicircolare in pietra dal diametro di 13 m (tuttora esistente).
Degli altri bronzi sono rimasti soltanto indizi indiretti; in particolare, significativo è un vaso ritrovato a Spina (vicino a Ferrara), che risale al V secolo a.C. e che riproduce proprio i Sette di Tebe e gli Epigoni.
Resta un ultimo enigma: come hanno fatto questi due bronzi superstiti a giungere nelle acque calabresi? Gettate in mare da una nave in difficoltà? O da uno scafo di una nave danneggiata?
Sembra che Anfiarao e Tideo saranno riprodotti, clonati, grazie all’utilizzo di un’avanzata tecnologia laser, naturalmente prodigandosi affinché queste due riproduzioni siano quanto più simili agli originali, per offrirle poi ai musei di tutto il mondo.
Certo, vedere gli originali può essere ben più emozionante che non trovarsi davanti a delle riproduzioni ma…la cultura non deve essere condivisa? Non deve essere libera? Non vi devono accedere quante più persone possibile?
Io credo di sì….e voi, amici lettori?
Fonti:
Focus; Riccardo Tonani, La vera storia dei bronzi di Riace
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